[Sonvico, agosto 1998]
Era una perfetta giornata di novembre, forse un po' troppo umida, ma
comunque non eccessivamente fredda. La leggera coltre nebbiosa
offuscava parzialmente i raggi del sole.
Io, come tutti i giorni, mi stavo avviando con la mia valigia
ventiquattrore nera verso l'ufficio dove lavoravo. In un angolo un uomo
leggeva il giornale.
C'era qualcosa d'irreale nell'aria, ma non riuscivo a capire cosa.
Anche se tutto pareva tranquillo io mi sentivo stranamente agitato.
Arrivai allo stabile in Via Armignolo dove lavoravo, salii
sull'ascensore e schiacciai il tasto con l'indicazione quarto piano. La
forte illuminazione degli uffici, mi fece socchiudere gli occhi, quando
le porte si aprirono. Salutai i colleghi e mi sedetti alla scrivania.
Pur'essendo relativamente semplice il lavoro da svolgere, non riuscivo
a concentrarmi.
Continuavo a guardare i miei compagni d'ufficio tentando d'intuire se
anch'essi erano preoccupati o particolarmente agitati.
Notai che la signora Rosanna, che solitamente trascorreva la mattina al
telefono parlando allegramente oggi era stranamente intenta nel suo
lavoro. O almeno così sembrava.
Il ragionier De Giorgi alle mie spalle continuava a guardarsi in giro
preoccupato, strano, proprio lui che solitamente è cosi scrupoloso
nello svolgere il proprio lavoro.
Il mio sguardo incrociò quello del collega Giannini. In quell'attimo
nei suoi occhi mi sembrò di percepire un disperato lamento, una flebile
richiesta d'aiuto. Ma io cosa potevo fare? Durante la pausa caffè
nessuno parlò, ognuno di evitare lo sguardo degli altri, anche se in
cuor mio avrei dato qualsiasi cosa a chi avesse rotto il ghiaccio. Una
sola parola o un commento magari scherzoso, forse sarebbero bastati per
risollevare il morale e far tornare la pace nell'ufficio, ma nessuno
disse niente.
I minuti passavano e l'angoscia cresceva a dismisura. Le campane
batterono il mezzogiorno con dei colpi insolitamente bassi e sordi.
Ognuno si avviò verso casa senza neanche un cenno di saluto.
La nebbia era sparita e il sole splendeva pallido, come é solito fare
nelle giornate di novembre. Per strada i pochi passanti si guardavano
in giro sospettosi, come per controllare che nessuno li stesse seguendo.
Allungai il passo, volevo rincasare il prima possibile. Un auto grigia
con i finestrini scuri mi passò vicina. A casa mangiai senza nessuna
voglia, il cibo aveva un gusto strano, non cattivo, però particolare.
Accarezzai il gatto, ma non ronfava, sembrava quasi scocciato dalle mie
premure.
Si alzò e andò a nascondersi sotto ad un letto. Mi preparai per andare
al lavoro ed uscii da casa. Chiusi a doppia mandata il portone, che
solitamente lasciavo aperto.
Fuori, i passati erano aumentati. Vidi un conoscente, non mi salutò e
io non lo salutai. Un brivido, forse di freddo o forse di paura, mi
scosse la schiena.
Entrai nel palazzo degli uffici, l'ascensore tardava ad arrivare, presi
le scale.
Nella stanza c'era solo la signora Rosanna che non mi salutò e non mi rivolse né la parola né uno sguardo.
Il Ragioniere De Giorgi arrivò per ultimo, ma nessuno gli fece notare il ritardo.
Un altro brivido mi percorse la schiena…