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Confusione

Il locale si trova proprio a metà strada fra la centrale di polizia e il supermercato Migros, la brunetta con i denti da cavallo inizia a far caffé alle sei di mattina e sembra non finire mai. Fino a qualche anno fa questo posto si chiamava "Da Gregorio", ma è cambiato il proprietario, ora si chiama "Georgia", così non hanno nemmeno dovuto cambiare le lettere luminose dell’insegna, gli è bastato rimescolarle in un economico anagramma di neon. I tavoli di finta pietra sono rimasti gli stessi, le zuccheriere di vetro e acciaio sono sempre meno lucide, anche la clientela è rimasta quella, forse un po’ invecchiata. La brunetta con i denti da cavallo continua a servire caffé in maniera equa alle due categorie principalmente rappresentate fra la clientela. Commessi che vengono a bere qualcosa prima di iniziare il turno al supermercato e poliziotti che prima di entrare in servizio ne approfittano per farsi un macchiato.

Alla mattina è difficile distinguerli, assonnati, silenziosi e con gli abiti civili. Non hanno ancora indossato né il giubbino rosso mattone della Migros né la divisa cerulea della polizia cantonale. Ancora non sono schierati, ne da una parte ne dall’altra. Nel limbo si godono il caffé e sognano una vita diversa o, forse, se ne stanno solamente in silenzio in attesa di iniziare a lavorare. Nelle buie mattine novembrine seduti fianco a fianco e poi ognuno per la sua strada, ad allineare lattine di pelati sugli scaffali o a malmenare richiedenti l’asilo per strada. Che farà quel tipo con i baffoni che sembra Freddie Mercury? Me lo ritroverò al banco dei formaggi a consigliarmi la provola appena arrivata oppure sarà colui che vedrò occupato a menare le mani nel corso dello sgombero della casa vicina alla stazione? Non si sa, è ancora troppo presto, è mattina e la nebbia confonde la vista.

Io e Lui

uomo natelDiario semiserio del mio percorso di avvicinamento al meraviglioso mondo della telefonia mobile.

4 luglio 2008
Ho ottime ragioni per non avere un telefonino, le avevo spiegate in maniera abbastanza esaustiva in questo testo. Era una delle mie sicurezze, il telefono portatile non faceva per me. Ho resistito a diverse generazioni di telefoni, come Ulisse legato all’albero della nave non mi sono fatto ammaliare dal getto continuo di marchingegni portatili sempre più evoluti.Ancora più difficile: ero riuscito a rimanere in qualche modo all’interno di una rete sociale composta quasi esclusivamente da persone munite di telefonino. Da osservatore esterno ho potuto osservare mutamenti sociali dati da questa tecnologia, nuovi modi di incontrarsi e di tenere i contatti con amici e parenti, di socializzare, di flirtare. Penso che qualcosa stia cambiando in me.

6 luglio 2008
Le ragioni per non avere un telefonino sono tutt’ora valide, mi accorgo però di non assumermi davvero le responsabilità di questa scelta. Sempre più persone che vorrebbero rivolgersi a me mi cercano sul telefonino della mia morosa, della mia coinquilina, al posto di lavoro, presso i miei genitori. Tutte queste persone (che ringrazio con tutto il cuore) hanno passato minuti delle loro esistenze a riferirmi messaggi, a filtrare le telefonate, a ricordarmi appuntamenti e a prendere nota di numeri da richiamare. Il fatto che vivo in una casa senza telefono fisso non aiuta di certo a migliorare la situazione.

7 luglio 2008
Ho tutta una serie di chiamate importanti che dovrei fare abbastanza urgentemente, la cabina telefonica dista 15 minuti a piedi e non è certo il luogo ideale per fare telefonate importanti. Ho un cattivissimo rapporto con il telefono e cerco ogni scusa per evitare di chiamare. Si fa sempre più strada nella mia testa l’idea di passare dall’altra parte della barricata.

11 luglio
La mia ragazza è in colonia, senza la possibilità di accedere ad internet, le mando degli sms inviati tramite computer dal mio account della supsi, ma non posso ricevere le sue risposte. Non ho ancora fatto le chiamate importanti che sto rimandando da qualche giorno. A Sonvico la popolazione si sta mobilitando contro la costruzione di una nuova antenna per cellulari per paura delle onde elettromagnetiche. I cellulari per funzionare necessitano di antenne.

13 luglio
Domani è il grande giorno. Lo farò! Ho deciso. Ne sono sicuro! (quasi)Prima di andare a dormire metto un cinquanta franchi nel borsellino. Continua la lettura di Io e Lui

Novelle consu-mistiche dal monte Roveraccio

Sono partito da casa senza una meta precisa, sapevo che avevo voglia di camminare, sudare e fare un po’ di fatica. Sentire il mio corpo vivo dopo il letargo invernale. La montagna mi mette addosso un nonsoché di mistico, mi sento in comunione con la terra e con il cosmo.

Penso che se dio esistesse gli alberi potrebbero essere prova inconfutabile della sua presenza. Immerso nei miei pensieri trascendentali supero l’alpe Cottino e arrivo al San Lucio. Silenzio e la vista può spaziare tutto attorno a me. Arriva un rumoroso elicottero a rovinare tutto. Scendono cinque persone che gridando a squarciagola si lamentano di aver trovato la capanna ancora chiusa. Asini!

Continuo la mia passeggiata verso l’alpe del Pairolo. Sul mezzacosta del Foiorina c’è ancora parecchia neve, io stolto sono in sandali che affondano fino al polpaccio. Continua la lettura di Novelle consu-mistiche dal monte Roveraccio

Circuiti: premiato

Un racconto scritto per il concorso letterario indetto dal settore multimediale della rtsi legato alle "Giornate letterarie di soletta", che è stato inserito fra i premiati con le seguenti motivazioni " Al posto d’onore si collocano ex aequo i racconti di Olmo Cerri (Circuiti) e di Alberto Veronese (Sotto la neve). Il primo per il sotteso umorismo e la sua sana leggerezza: nel racconto Circuiti va in scena l’amore, ma senza enfasi, patetismi, l’amore paragonato ad una corrente elettrica, fatta di circuiti, incandescenze ed esplosioni. Il secondo per i suoi contrasti: Sotto la neve alterna infatti abilmente fiaba e tragedia, angoscia e fiducia, per raccontare una cupa coincidenza di morte."

Qui il testo sul sito speciale del concorso

 

Circuiti 

Nel pomeriggio del 20 maggio 1999 ho preso la prima scossa seria della mia vita. Stavo armeggiando con un interruttore male isolato, cercando di accendere la luce, quando una scarica di elettricità di intensità stimabile tra i 3 e i 20 milliampere, è passata attraverso il mio corpo. Ero sicuro che prendere la scossa fosse una di quelle cose per cui si muore di sicuro, uno di quegli avvenimenti che non ti danno scampo e che ti uccidono all’istante. E invece no. Eppure i miei genitori sono sempre stati molto onesti con me, soprattutto quando c’era di mezzo l’elettricità. Quando si trattava di impianti elettrici non mi trattavano come un bambino, avevamo un rapporto assolutamente onesto e sincero, direi “alla pari”. Se, per esempio, chiedevo informazioni sul "rischio temporale" mi spiegavano che il fatto di rimaner folgorati era un evento davvero molto raro, ma da non escludere completamente. Le statistiche con cui spiegavano questa evidenza erano probabilmente corrette "solo un bambino su dieci milioni viene colpito da un fulmine tornando da scuola", ma di certo non rassicuranti. Io, prudenzialmente, rincasavo sotto gli acquazzoni bagnandomi completamente, senza usare l’ombrello, la cui punta metallica avrebbe potuto (seppur solo in qualche rarissimo caso) attirare un lampo. Quanto erano possibilisti rispetto ai temporali, erano invece intransigenti sulle scosse: se metti le dita nella presa muori! Senza il beneficio del dubbio, senza possibilità di discussione.

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È una questione di memoria

 

Il tema della serata TiKinò di giovedì 27 era memoria. Quattro ore prima della proiezione ho deciso di realizzare un mio kinò sul tema. Oltre al poco tempo a disposizione, un secondo problema è che ero senza telecamera. Una vera e propria "Missione impossibile".

Ho reclutato gli attori al CSOA il Molino, sottoponendoli ad un piccolo test memnonico, da una serie di citazioni più o meno lunghe sul tema della memoria, sceglierne una e cercare di memorizzarla in un paio di minuti. Poi cercare di ripeterla davanti alla camera integrata del mio computer.

Il risultato, montato senza troppe pretese, sonorizzato con un pezzo di "Fabiétt und effe" lo potete trovare qui su archive.org:

 

 

 

Come promesso ad ombra, ho lasciato google.video per archive.org, una risorsa per condividere video, comoda e ben più etica di google curiosone… che inoltre da la possibilità di distribuire il video in parecchi formati diversi e di utilizzare licenze libere.

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Basterebbe alzare la gamba

Dei sei scarafaggi inviati nello spazio a bordo dello Shuttle, 

solo due sono sopravvissuti. 

Un'autopsia ha rivelato che gli scarafaggi sono stati uccisi 

da un piccolo passo per l'uomo.

Luttazzi Daniele, Lepiedezze postribolari, Feltrinelli

 

 

Basterebbe alzare la gamba per fare un passo, è così semplice eppure non sono del tutto convinto che sia la cosa giusta. Sono combattutto, in fondo anche qui non si sta poi male, se alzassi la gamba potrei forse perdere l'equilibrio e cadere lungo disteso. Qui non sarà poi il massimo, ma almeno conosco la zona e mi so orientare. Potrei fare un passo e spostarmi, allagare i miei orizzonti, cambiare prospettiva, ma in fondo chi me lo fa fare. Me ne sto qui, tranquillo, ho tutto quello di cui posso aver bisogno.  Quella di fare un passo non è una scelta facile, bisogna valutare attentamente i pro ed i contro delle decisioni che si prendono, un passo non è una cosa che si può improvvisare così su due piedi, alla leggera, è una scelta importante. Stare o andare. Statico o cinetico. La stasi ha il suo fascino, la cinesi è tutta un'altra cosa. Chissà se facendo un passo e spostandomi da qui troverò le medesime e così favorevoli condizioni di esposizione al sole, di frescura, di tranquillità? Chi lascia la via vecchia per la nuova, sa cosa perde, ma non sa cosa trova. Chi non risica non rosica. Con i proverbi non si va da nessuna parte, quindi si resta. Resto? C'è un mondo attorno a me che è a solo un passo di distanza. Ci vuole così poco, tensione muscolare, movimento basculatorio, spostare il peso in avanti e via, è fatta. 

Camminare, passeggiare muoversi, correre, viaggiare, andare. Andare si ma dove? Perchè rischiare? Restare o andare, andare, andare, andare, andare si, ma dove? Andare via. Comincio a sospettare che quel via non esista nemmeno. Il mondo si è sempre diviso in due: quelli che stanno e quelli che vanno, io non ho ancora capito da che parte stare. Quelli che vanno hanno scoperto terre nuove, hanno solcato i mari e ci hanno fatto assaggiare sapori mai neppure immaginati. Quelli che sono rimasti hanno imparato a coltivare la terra, hanno fondato città magnifiche, hanno raccolto e conservato i libri nelle biblioteche e hanno selezionato i semi per le coltivazioni. Quelli che andavano hanno soggiogato popoli e tagliato teste, quelli che stavano hanno dato vita a guerre terribili. Nelle mie vene scorre sangue viandante o sedentario, discendo dai cacciatori nomadi dell'Africa del nord o dagli allevatori mesopotami? La mia casa è di paglia e fango secco o è una yurta di tela e giunco? 


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