Il caffè della Peppina

Ah, che bell’ò café, pure in carcere ‘o sanno fà, co’ ‘a ricetta ch’a Ciccerenella, compagno di cella ci ha dato a mammà. (Fabrizio De André)

La quasi totalità degli anziani ticinesi e una consistente fetta di non anziani, beve abitualmente per colazione e spesso anche per cena il “cafelach”. Viene assunto in tazzoni o scodelle: spesso si tratta soltanto di surrogato di caffè a base di cicoria con una consistente quantità di latte. Qualcuno ci aggiunge zucchero e pezzettini di pane, altri zwieback (in gergo “i Zibàc”). È un piatto povero che per pochi centesimi sostituisce la cena, probabilmente retaggio dei tempi di guerra in cui da mangiare c’era poco per tutti e supportato dalla salda convinzione scientifica che “fa bene avere qualcosa di caldo in pancia prima di andare a dormire”. Autobotti di caffelatte vengono consumate quotidianamente e senza scalpore in Ticino, quando ecco che arriva la Emmi, il gruppo svizzero dell’industria del latte, che si mette a farne la pubblicità.


Da DJ Bobo in poi….

L’industria lattiera, che già ci aveva deliziato usando come testimonial DJ Bobo, presenta questa campagna affissa a tappeto negli angoli non frequentati dai nudisti e da pesci morsicatori del nostro cantone. Fotografie in bianco e nero, in ambienti pieni di luce e dall’aria vagamente mediterranea, sacchi di caffè sullo sfondo e sul muro uno stencil con la scritta “Caffè Latte” (in italiano anche nella versione d’oltralpe, che fa sempre molto “latino”). Lo slogan invece è in inglese, perché la lingua di Dante, va bene solo come esotico ed evocativo richiamo pubblicitario. Il soggetto, nella versione orizzontale del manifesto è un ragazzotto che si asicuga il labbro dopo aver gustato la magnifica bontà di questo prodotto. Nella versione verticale invece troviamo un’accaldata signora il cui sguardo lascia presagire gli inenarrabili piaceri che scaturiscono dal bere questo caffè. Non so: forse sarebbe stato più credibile il signor Piero, di 84 anni, in canottiera che si appresta a bere il suo caffelatte tiepido con gli Zibàc.

Dopo la scoperta dell’acqua calda…
…il caffè freddo. Il prodotto in questione è in sostanza proprio questo. Un liquame a base di conservanti, addensanti, caffè e latte. Il tutto avvolto in una spropositata quantità di plastica e carta che funge da imballaggio. Da bere freddo, anzi ghiacciato per anestetizzare almeno un po’ le papille gustative. Magari ascoltando il gingle della campagna (lo si trova qui) e il ritornello recita con voce raucamente erotica “caffè latte, il mio amore” con un’intonazione talmente smielata che addirittura Ramazzotti ne rimarrebbe nauseato.

Mentre accucciato accanto alla bucalettere attendi che il postino ti porti il prossimo numero del Diavolo con il fotoromanzo estivo, vedi un’affissione che ti disturba: fotografala e mandacela corredata dalle tue riflessioni estive. Sempre meglio che morsicare il portalettere!

 

Il consiglio non richiesto
Il caffè freddo, soprattutto in periodi di surriscaldamento climatico, è buono davvero, e ancora più gustoso se si può evitare di comperarlo. Basta fare una normale moca di caffè caldo, magari di quello RebelDia, coltivato biologicamente ed in condizioni etiche nella selva del Chiapas, sostenendo la lotta zapatista (che lo si può ordinare da qui: www.chiapas.ch). Va poi lasciato raffreddare e shecherato con un po’ di latte, zucchero, e qualche scaglia di ghiaccio in una bottiglia o in altro contenitore idoneo. Facendoselo in casa si perdono solo pochi minuti, e soprattutto non si rimane con quella spiacevole sensazione di essere stati presi per il culo dalla Emmi! Occhio che il caffè rende nervosi!

Da: Il Diavolo, quindicinale satirico in edicola oggi