Sorelle d’Italia: La carica delle centouno

I due videomaker poco prima dell'arresto

Articolo pubblicato sul Diavolo oggi in edicola, nella versione cartacea è apparsa una versione con alcune domande in meno.

Un documentario prodotto all’ombra del Ceneri inventaria gli sguardi rivolti dalle donne italiane verso al Cavaliere.

Interrompiamo Lorenzo Buccella mentre stra trattando i diritti di diffusione del suo ultimo documentario in tutta l’area asiatica. Parla un coreano fluentissimo, ci chiede di attendere qualche istante nella grande veranda attorniata da palme rivolta verso un azzurrissimo spicchio di mare tropicale. Una giovane donna ci offre delle tartine e dello champagne. È evidente che nonostante il successo che sta avendo “Sorelle d’Italia”, non si è montato la testa.

Ciao Lorenzo, prima di iniziare, per chi ancora non ti conosce presentati in meno di duecento battute.
Qualcuno ha detto “meno contano e più scoreggiano”. Sono convinto che quando morirò, al posto di rivedere la mia esistenza in un batter d’occhio come vuole il cliché o Clint Eastwood, avrò solo una strana sensazione olfattiva.

Secondo Guy de Maupassant, agli uomini piacciono soprattutto due cose: annusare i propri peti e leggere i propri scritti, comunque 230 battute, non male. Peccato che hai dimenticato tutti i dati importanti (ma rimediamo con il box grigio a lato), ma andiamo avanti. Si parla parecchio del tuo ultimo lavoro “Sorelle d’Italia”, di che tratta?
Un viaggio nella mente, nel cuore, nel pancreas e nella cistifellea delle donne d’Italia, per sondare quanto contagio abbia portato (per via benigna o maligna) il virus-Berlusconi.

In pratica con il tuo socio, come novelli Kerouac, siete partiti, zaino in spalla, alla ricerca di testimonianze femminili sul cavaliere. Qual è stato il percorso seguito?
Dalla tundra brianzola di Arcore alla savana sarda di Porto Rotondo. Passando in pellegrinaggio per tutti i luoghi istituzionali più festosi d’Italia: Villa San Martino, Palazzo Grazioli, Villa Certosa.

E com’è che vi siete fatti arrestare?
Siamo a Porto Rotondo. Lontano dalla villa. Strada pubblica. Documenti? ci chiede un carabiniere. Normale controllo. Ci portano in centrale. I computer non funzionano, dicono. Tutto in stile Totò e Peppino. Passiamo lì ore e ore. Saltano fuori denunce fantasma e altre cose così. Alla fine arriva una task-force di guardie svizzere con le alabarde e ci libera.

Vi è andata ancora bene, la settimana scorsa alcune persone che hanno manifestato troppo vicino ad Arcore sono state mazzuolate e processate per direttissima. Ma piuttosto: cosa ha detto la tua compagna quando ai informata della tua intenzione di partire per incontrare centouno donne?
Ma di tutte ‘ste zoccole poi tieni anche il numero di telefono?

Che donna! Ma si tratta di una visione imparziale? Non è che già l’idea di intervistare solo donne per parlare di uno che si accompagna a prostitute potrebbe risultare tendenziosa, o no?
Mai voluto essere imparziali a priori. Come tutti avevamo un’opinione prima delle riprese e ne abbiamo una dopo. Durante il viaggio, però, abbiamo sospeso ogni forma di giudizio. Se vuoi capire quali sono i funghi che abitano un bosco, devi prendere tutti quelli che incontri, da quelli commestibili all’amanita falloide.

E l’idea di far uscire il documentario in pieno scandalo Ruby e Bunga Bunga? Tempismo perfetto?
È Ruby che è venuta fuori allo scoperto quando usciva il nostro film. Dev’essere un’amica di Vito Robbiani.

Vedremo dalle trascrizioni delle intercettazioni come sono andate le cose. Comunque è anche vero che negli ultimi due anni, qualsiasi momento sarebbe stato buono per far uscire questo film in occasione di una gaffe del premier. È forse che che è troppo facile sparare sul quel povero vecchio… a proposito, che idea ti sei fatto di Silvio?
Che è il più grande “Presidente della Repubblica”. Che porta i tacchi perché ha fatto l’intrattenitore sulle crociere. Che ha inventato il Grande Fratello e ora è finito in nomination. Che ha tre “televisori”. Che predica bene ma “ruzzola” male. Che gira con le guardie del corpo perché ha fatto cicicocò con la mafia. Giusto per buttarti lì un blob veloce delle cose che abbiamo sentito su di lui.

E che he idea ti sei fatto delle donne italiane?
Tu cosa penseresti dopo il blob che ti ho detto prima?

Mmm… Una fra le tante che ti ha colpito particolarmente?
Una vecchietta barese. Vestita di nero come la morte. Le chiediamo di Berlusconi. E lei dice che suo marito è deceduto da due giorni. Le facciamo le condoglianze. Lei allora inizia a raccontarci tutto del defunto e non finisce più. Per liberarci stavolta non ci sono guardie svizzere a portata di mano. Siamo dovuti ricorrere alla più bieca forza maschile: signora, ci dispiace tanto, ma perdiamo il treno…

Documentaristi dal volto umano. Complimenti! Eppure di questo lavoro ne hanno parlato in tutto il mondo. Le principali testate (dal New York Times al Südtiroler Zeitung) si sono occupati di “Sorelle d’Italia”. Che effetto fa?
La stessa sensazione che può avere un mosquito di Serocca d’Agno quando finisce nell’occhio di Putin. Un leggero prurito, ma con un po’ di collirio passa tutto. Anche a livello internazionale.

Ne abbiamo visto degli stralci da Chiambretti, fra una “lode al cavaliere” della Zanicchi ed uno spogliarello in controluce. Che effetto fa essere riusciti a trasmetterlo sulle reti di Berlusconi stesso?
Abbiamo un futuro da Gabibbo.

Lo avete portato anche al FIPA di Biarritz (che non è un club a Formentera ma un festival dedicato all’audiovisivo in Francia). Ma sarà possibile vedere il vostro lavoro in Ticino o dovremo aspettare che diventi roba d’epoca per godercene degli stralci al “Gioco dei Ricordi?”
Dipende da Ruby. Di solito è lei che ci fa la promozione. Magari adesso scopriamo che è la nipote segreta di Bignasca…

Vedendo come è venuto brutto il figlio Boris difficilmente potrebbe avere una nipote così gnocca. Comunque potreste organizzare una proiezione al Vanilla. Quali sono le principali difficoltà per chi vuole fare documentario in Ticino?
Che non c’è sempre Ruby a farti da promoter. Ci vorrebbe più Ruby per tutti.

Se le domande serie non ti piacciono basta che lo dici: se dovessi morire di morte violenta, cosa sceglieresti?
Auto-asfissia da scoreggia post-raclette con amici.

E su questa risposta Lorenzo Buccella scoppia in una sonora risata. Suona il telefono, è Obama che vuole complimentarsi per il lavoro svolto. Non ha ancora digerito il commento di Silvio sulla sua “abbronzatura”. Lorenzo parla un inglese fluente, poi fa alcune battute in un impeccabile kiswahili, l’idioma keniota parlato durante l’infanzia dal presidente statunitense. Ci saluta con un cenno della mano. La sua sagoma avvolta in una vestaglia di seta si staglia sicura all’orizzonte. Il tempo a noi concesso è evidentemente terminato.

Era uno stivale...

Sorelle d’Italia (2011)
di Lorenzo Buccella e Vito Robbiani

Che cosa pensano le donne italiane di Silvio Berlusconi, l’ingombrante imprenditore-premier pluriprocessato e ultramediatizzato? Dalla storica residenza di Arcore (a pochi passi da Cologno Monzese) fino a Villa Certosa in Sardegna. La residenza estiva del premier teatro di tanti festini a luci rosse, i due videomaker ticinesi intraprendono un viaggio di centinaia di chilometri per raccogliere dozzine di testimonianze di donne italiane. Chi lo ama e chi lo odia, nessuno resta indifferente. Non un film su Berlusconi, ma sulle donne d’Italia (o almeno così affermano i due giovani autori nel sottotitolo del loro documentario).

Lorenzo Buccella è nato a Lugano nel 1974, è cineasta, scrittore e critico cinematografico. Si è laureato con una testi su Massimo Bontempelli, l’inventore della tastiera musicale elettronica. Insegna alla SUPSI, al CISA e tiene un doposcuola sulla carta pesta alle scuole elementari di Auressio. Collabora regolarmente con la Cineteca di Bologna e con La Repubblica, l’Unità, La Regione, la RSI, RadioRai e con il bollettino parrocchiale di Auressio. Su Facebook esiste un gruppo, con 67 aderenti che si intitola “x tutti quelli ke adorano Lorenzo Buccella” ma si tratta soltanto di un curioso caso di omonimia. Nella sua carriera parecchi documentari e qualche film, l’ultimo è “Taxiphone” di Soudani.

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