Da “La vetrina” de La Rivista di Lugano di venerdì 2 marzo (pagina 5) – di Marina Buttiglione
La scena è pronta, i protagonisti concentrati, la luce è quella giusta. Ciak, si gira! Finalmente il momento è arrivato, la produzione entra nel vivo e il regista dirige attento i primi attimi del suo documentario. L’emozione è tanta, la tensione alle stelle, ma tutto sembra procedere nel migliore dei modi. L’importante è non avere fretta perché la premura, in questo campo, è cattiva consigliera. Ne è convinto Olmo Cerri, che precisa: «spesso bisogna farsi sorprendere dagli eventi senza seguire rigidamente la tabella di marcia. Quando si produce un documentario non c’è nulla di più bello che “rubare” momenti di vita inaspettati, attimi imprevisti e magici allo stesso tempo».
Questa settimana incontriamo un giovane aspirante regista. Ambizioso, entusiasta e sicuro di sé, sa che per emergere nel campo dell’audiovisivo non basta la passione: ci vogliono dedizione, serietà, rigore. Frequenta a Lugano l’ultimo anno del conservatorio internazionale di scienze audiovisive (Cisa) e presto potrà tentare la strada del professionismo. Si è avvicinato alla cosiddetta «settima arte» anche perché, in essa, intravvede una splendida opportunità, quella di abbinare il cinema all’impegno sociale. Dopo la maturità sociosanitaria, Olmo si è diplomato presso la Scuola universitaria professionale della Svizzera italiana conseguendo una specializzazione in lavoro sociale. Durante la sua formazione ha avuto varie esperienze lavorative. Tra queste, forse, la più significativa lo ha impegnato presso il Centro di accoglienza diurno per tossicodipendenti della fondazione Ingrado. «A livello umano ho imparato moltissimo – racconta – Spesso la vita ci porta a non considerare neppure certe realtà, vuoi per paura, vuoi per diffidenza. Io sono però convinto, che dietro a un muro di sofferenza c’è sovente un forte desiderio di riscatto e che tutte le storie siano degne di essere raccontate». E Olmo lo ha fatto. Nell’ambito del suo lavoro di diploma per la Supsi ha raccontato la vita di coloro che tutti i giorni popolano il centro sfruttando le potenzialità della macchina da presa, mezzo estremamente utile quando si decide di «dare voce a coloro che preferiamo non ascoltare perché magari ci intimoriscono. Ma si sa, l’ignoto può spaventare, specialmente se ci si scontra con la cruda realtà dei tossicodipendenti». Da allora, la telecamera non l’ha più «mollata».
Al Cisa si è iscritto nel 2009 con l’obiettivo di apprendere le tecniche e i linguaggi della produzione audiovisiva. Per Olmo fare cinema è un po’ come scrivere; occorre padroneggiare diversi elementi per comporre un «testo», che alla fine porterà alla realizzazione di un film. «Oltre agli aspetti tecnici, vi sono fattori soggettivi da tenere in considerazione. Basti pensare alla scelta della musica da abbinare alla storia che si vuole raccontare», spiega. E, cosa non trascurabile, il tutto parte dall’idea giusta e dalla decisione di voler narrare proprio quella storia, quell’episodio, quel personaggio. Sarà poi il tocco del regista a fare in modo che finzione e realtà si uniscano in una danza unica e affascinante. «A parole sembra facile – precisa Olmo – ma vi garantisco che parlare a un pubblico attraverso la forza delle immagini non è evidente». Il rischio di confondere le idee o di prendere decisioni sbagliate, da un punto di vista della regia, si presenta ogni volta che si affronta un nuovo progetto. La preparazione riveste quindi una notevole importanza, ancora prima della produzione vera e propria. Per girare un buon documentario, settore nel quale Olmo vorrebbe specializzarsi, la ricerca che precede le riprese vere e proprie diventa indispensabile e allo stesso tempo complicata. Ma come informarsi? A chi rivolgersi per acquisire le informazioni corrette? «Dipende dal caso – puntualizza – Nel mio lavoro finale per il Cisa devo concentrarmi su una ricerca di tipo storico, dal momento che il mio obiettivo è quello “dipingere” un ritratto di un pilota dell’esercito svizzero negli anni ’50». Con lo scopo di acquisire tutte le informazioni necessarie al suo progetto, Olmo si sta soffermando sullo studio di una biografia, scritta dalla figlia Anna Ruchat, sul lavoro d’archivio e su diverse interviste effettuate con alcuni piloti ormai in pensione che conoscono bene le vicende di quell’epoca. L’obiettivo è di valorizzare la «storia umana e professionale di un personaggio che aveva il sogno del volo. Ma non intendo anticipare troppo. Come ogni regista non vorrei rovinare l’effetto sorpresa». L’auspicio di Olmo è insomma quello di vedere il suo documentario sugli schermi. Sarà poi il pubblico a decretarne il successo.
Il nostro aspirante regista non è tuttavia alle prime armi. Ha infatti già partecipato alla produzione di diversi corto e lungometraggi svolgendo le mansioni più disparate (stage in scenografia, assistente regista, fonico, ecc.) e vanta una decina di realizzazioni personali, tra cortometraggi e documentari. «Al film dal Niculìn», del 2011, è probabilmente il suo prodotto più riuscito. Racconta la storia dell’intraprendente Nicolin Gianotti che, salito sui monti della val Bregaglia nel 1971 insieme al suo amico Hannes R. Bossert, riprese alcuni momenti di vita contadina bregagliotta. Il documentario si presenta con una veste unica, poiché le immagini dell’epoca s’intersecano alla perfezione con il racconto della vita di Nicolin e della sua famiglia. «Potremmo definirlo come un film nel film – commenta Olmo – Abbiamo sfruttato le pellicole originali dello stesso Nicolin e proposto materiale nuovo, girato ai giorni nostri». Il risultato è a dir poco sorprendente e i consensi non sono tardati ad arrivare. «Al film dal Niculìn» è stato recentemente trasmesso alla Rsi e ha ricevuto riconoscimenti anche alla giornata dedicata agli studenti organizzata nell’ambito del Festival del film di Locarno. Se il buon giorno si vede dal mattino, Olmo Cerri sembra di fatto essere sulla strada giusta per diventare una bravo documentarista! Glielo auguriamo di cuore!