[Sonvico, 2002]
Geremia era un uomo di poche parole, lavorava molto e mangiava poco.
Amava la vita agreste e le levataccie che doveva fare ogni mattina
ormai non gli pesavano più. Diceva che non voleva altro dalla vita,
aveva tutto quello che poteva desiderare. E come si poteva dargli
torto? Lavorava si molto, ma era circondato da una moglie premurosa e
viveva nel paesaggio più bello di tutta la zona, in una fattoria
modello così ben organizzata da essere sempre presa ad esempio. Erano
quattro anni di seguito che una delle sue mucche vinceva il concorso di
bellezza alla fiera del villaggio. Il suo unico cruccio erano i figli,
la sorte aveva voluta che non ne fossero giunti, ma non per questo si
riempiva la vita d'amarezza.
La fattoria accanto a quella di Geremia era rimasta sfitta per molti
mesi. Le erbacce avevano riempito tutta l'aia e nei campi, da così
tanto tempo abbandonati, fiorivano allegri i lotus e le trombette di
melchiorre. Seppur ultimamente un poco lasciata andare, era sempre una
bella e funzionale azienda agricola, e fu per questo che Geremia non
fece particolare caso all'insediamento del nuovo vicino.
Non vide mai un carro che portò animali o materiale, e neppure qualche
garzone che desse una mano ai lavori. Solamente lui, che instancabile
zappava, tagliava, sarchiava e seminava. Era un uomo magro e gracile,
all'apparenza assolutamente non portato per il duro lavoro agricolo,
dico all'apparenza perché nonostante tutto, la fattoria tornò presto al
suo originario splendore. Fu ripulita dalle sterpaglie che si erano
accumulate e venne completamente riverniciata. Diverse vacche, con le
mammelle gonfie di latte, iniziarono a pascolare li intorno e nei campi
germogliava timidamente il frumento e l'avena. Impiantò anche, sul
colle da cui si scorgeva il grande lago azzurro, alcune gambe di vigna
a cui dedicava molte e premurose cure.
Venne maggio, ma Geremia non era dello stato d'animo giusto per
gustarsi questo splendido mese. Da qualche tempo, aveva dentro al petto
qualcosa che gli rodeva. Come un grillotalpa che avesse iniziato a
passeggiare nelle sue viscere e a saltellargli sullo stomaco. La moglie
era preoccupata per il suo strano comportamento e, per sicurezza,
iniziò a cucinare con meno grassi la sera.
Intanto nella fattoria accanto, il contadino sembrò essersi ben
adattato al nuovo ambiente e l'azienda agricola prosperava come non
mai. Gli alberi erano carichi di fiori che lasciavano sperare in
un'incredibile quantità di frutta. La superficie dei campi era
raddoppiata e bisognava impegnarsi, per trovare una pianta meno sana e
rigogliosa delle altre. Le bestie scorrazzavano piene di vita nel
cortile e nei pascoli. Iniziò addirittura la costruzione di una nuova
stalla che venne su talmente veloce e ben fatta che Geremia quando la
vide per la prima volta dovette sedersi e bere un bicchiere di vino per
riprendersi dallo stupore. Tutte le vigne avevano attecchito e già
qualche bella foglia incorniciava l'esile tronco rossastro.
Il fattore era inoltre una persona squisita, si era conquistato la
simpatia di tutto il vicinato. I bambini passavano a salutarlo prima di
andare a scuola e lui gli donava una bella mela rossa. Era spiritoso
con le donne, serio e concreto con gli uomini. Divertente e pazzerello
con i giovani ed educato con gli anziani. Si era persino reso simpatico
alla vedova Smith che erano anni che non rivolgeva la parola a nessuno.
Qualcuno disse che sarebbe stato un buon sindaco e la moglie di
Geremia, anch'essa rimasta colpita dalla dolce semplicità del nuovo
vicino, soleva portargli ottime crostate di mele cucinate con le sue
mani.
Geremia si convinse che doveva smettere di dubitare del vicino, fece
una seria riflessione autocritica e decretò che il risentimento era
probabilmente provocato da una malcelata invidia e da una blanda messa
in discussione della sua virilità. Si vergogno di essersi fatto
condizionare da degli istinti così bassi e si ripropose di cercare di
rivalutare il nuovo contadino, anzi forse avrebbe potuto anche imparare
dalla sua esperienza.
L'indomani Geremia si appoggio allo steccato e, non solo per iniziare
un discorso ma proprio perché l'oggetto meritava, fece i complimenti al
vicino per i suoi meravigliosi ravanelli. Erano veramente dei begli
esemplari. Dalla terra spuntavano le foglie verdi e sotto si
intravedevano dei frutti rossi e lucidi grandi almeno quanto una
piccola mela. Il fattore spiegò, molto gentilmente, che era tutto
merito della terra di questo posto, così ricca di lombrichi e sali
minerali, era proprio l'ideale per coltivare. Lodò anche il sole caldo
del luogo e le abbondanti piogge che irrigavano, esattamente quando se
ne sentiva il bisogno, i campi. Eppure a Geremia qualcosa non quadrava,
lui erano trent'anni che coltivava ravanelli li e così grandi non ne
aveva mai raccolti. Parlarono ancora per qualche minuto, perlopiù di un
nuovo modello di mietitrebbiatrice che era stato presentato sul
giornale agricolo di quella settimana e dell'improvviso aumento del
costo dei medicinali contro le coliche dei cavalli, poi ognuno tornò
alle sue occupazioni.
Il fattore era sempre più popolare, la sua fama di coltivatore
provetto si diffuse per tutta la contea, e ogni giorno arrivava almeno
un allevatore di manzi o un produttore di agrumi a chiedergli un
qualche consiglio. Lui ascoltava pazientemente ognuno ed impartiva a
tutti preziosi e saggi consigli. Era molto ricercato anche dalle donne
e, seppure non fosse bellissimo, aveva un certo fascino che le
incantava e sempre più spesso venivano, con la scusa magari di vedere
le aiuole fiorite, a fargli visita.
Geremia cercava con tutte le sue forze di smettere di covare sospetti
nei confronti di quel suo buon vicino, ma era più forte di lui e non ci
poteva fare nulla e qualche volta, badando bene di non farsi sentire
dalla moglie, malediceva il giorno in cui il fattore era entrato nella
sua vita.
Passarono i giorni, i mesi, le stagioni e gli anni. La vite era ormai
diventata un vigneto vero e proprio che donava ogni autunno acini
grossi e rossi da cui, il fattore, estraeva un ottimo vino che si era
giustamente guadagnato un buon nome in tutta la regione.
Si era sposato il fattore, con una ragazza bionda e bella che veniva
dalla città, ma che aveva trovato nella campagna la sua ragion
d'essere. Moglie dolce e premurosa, cuoca provetta, instancabile
lavoratrice e, si sussurrava, amante formidabile. La cerimonia si era
svolta due primavere fa, ed era stata una bellissima festa a cui era
stata invitata tutta la gente dalle campagne vicine. Si era mangiato,
danzato e riso fino a notte fonda. Solo Geremia aveva declinato
l'invito accusando forti mal di capo.
Questo mal di capo ormai lo tormentavano in ogni momento, non gli
permetteva più neppure di lavorare, e le campagne ne risentivano,
cosicché quando il fattore si offri di pensare lui alla cura dei campi,
Geremia non poté rifiutare.
Sua moglie, per sdebitarsi, andò a offrirsi di lavorare presso il
vicino, che acconsentì solo a patto di poterla remunerare. La paga era
ottima, e la consorte di Geremia trovava il vicino e sua moglie
veramente stupendi. Adorava anche i due gemelli che nel frattempo erano
nati e li curava un po' come fossero figli suoi.
Il vicino, nella primavera seguente venne eletto sindaco, e si
dimostrò un sindaco buono che governava saggiamente il paese. Era
persino riuscito a mettere fine ad una lite fra due famiglie che durava
ormai da generazioni. Eppure Geremia non riusciva a sopportarlo e
quindi, una notte, lasciò i suoi timori nella sua stanza (vuota perché
ormai la moglie dormiva nella casa del fattore) ed usci sull'aia. La
luna piena splendeva alta nel cielo ed il frinire dei grilli era
assordante, andò nella stalla e stacco l'ascia dal ceppo in cui era
conficcata. Entrò silenzioso nella casa del vicino, salì una rampa di
scale e si trovò in un lungo corridoio. Da una porta semiaperta
intravide sua moglie che dormiva serena fra morbide lenzuola azzurre.
Sentì russare, il rumore proveniva da una stanza poco più a destra,
apri la porta. Intravide il fattore che dormiva, con la testa
appoggiata sul guanciale. Geremia alzò la scure e l'abbasso di colpo
sulla testa del fattore. Sentì un suono metallico e quindi colpì
ancora, e poi di nuovo. Ormai non si controllava più. Gridava disperato
mentre affondava la lama nel corpo del vicino. Ad un certo punto si
accorse che qualcosa non stava andando per il verso giusto. Il suo
vicino era costruito di metallo, non era altro che una sofisticata
macchina agricola, talmente sofisticata che aveva ingannato tutti.
Il rumore aveva intanto richiamato una piccola folla che si era
radunata nella stanza dove era avvenuto il macello. La moglie di
Geremia piangeva. Gli spettatori erano sbigottiti e increduli. Come si
sarebbe fatto per continuare a lavorare i campi, il fattore meccanico
era, a detta di tutti, indispensabile per l'agricoltura.