Le panchine sono rosse

Gliel’hanno portata via: non deve essere stato difficile, due operai ed è fatta. Sicuramente lui non ha fatto resistenza, non perchè non fosse importante, ma forse non ne ha avuto la forza. Ancora più probabilmente non era presente, visto il freddo pungente che faceva in quei giorni.

Hanno fatto sparire un’altra panchina, l’ennesima. Per la precisione quella davanti al negozio "aperto" alla stazione di Lugano. Panchina su cui lui, passava gran parte delle giornate non troppo fredde. Lui: Serge, "il nonno" della stazione, "il vecchietto" magro magro, senza denti che parla uno strano miscuglio di lingue confederate. Lo trovavi li seduto alla mattina, quando prendevi il treno alla mattina e alla sera, quando tornavi, era ancora li. D’estate vi rimaneva fino a notte, o almeno fino alla chiusura del negozio. Se avevi tempo, magari da perdere aspettando il treno, potevi fermarti un attimo a parlare con lui, ti avrebbe narrato, forse ricordando, magari un po’ inventando, qualche confuso episodio avventuroso della sua vita. Offriva e cercava compagnia certo, ma dispensava anche tutta una serie di servizi agli avventori della stazione: potevi lasciargli lo zaino o il cane in custodia mentre compravi qualcosa, oppure sapeva dirti se valesse la pena di andare al tassino perchè c’era movimento oppure se ancora, invece, non era salito nessuno.

Era lui che sapeva la data esatta della festa di primavera e dove si poteva trovare pasti gratuiti in occasione di fiere o feste. In cambio: solo qualche sigaretta, magari una lattina di birra (rigorosamente quella da 1,95), ma anche niente se non avevi nulla. Lui era li per un altro motivo: seduto sulla panchina guardava la gente passare, la salutava, faceva commenti ad alta voce, chiccherava con chi accettava di uscire dall’autismo in cui è sempre più immersa la gente di città. Era una specie di operatore sociale: il suo non era un business, era una vocazione. Ma ora non ha più la sua panchina, gli è stata portata via, assieme a tante altre che a poco a poco sono sparire dalle piazze, dalle strade e dai parchi.

Nella nuova, grande, grossa, strabordante Lugano, le panchine sono probabilmente viste come il primo passo verso la delinquenza. Una persona perbene, che fermandosi un attimo, si sieda su una di esse, può correre il rischio che inizi a pensare. Pensare alla nostra società, spaventata e superficiale; alla città in cui viviamo, ogni giorno più necrofila e spettrale; pensare agli alberi che vengono abbattuti per lasciar posto ai parcheggi. Una città in cui si vorrebbe arginare l’indifferenza e la diffidenza diffusa e generalizzata con la videosorveglianza. In una città in cui si eliminano fontane per favorire i bar, si tolgono le cabine telefoniche per ingrassare le compagnie di telefonia mobile, si eliminano cespugli per diminuire la criminalità, si chiudono i cessi per risolvere il problema della droga, le panchine non possono essere tollerate.

Dalle panchine potrebbe partire una rivoluzione, quindi assieme a tutti gli spazi di socialità vengono eliminate. Tanto abbiamo la memoria corta; abbiamo costruito delle città così impersonali che quasi non ci accorgiamo nemmeno dei cambiamenti. Qui c’era una panchina o forse no? Quell’albero è appena stato tagliato o è così già da anni? Chi davvero ha un’immagine chiara della morfologia della città? Probabilmente nessuno: se un evento non ci tocca più che nell’intimo ci è indifferente. La panchina della stazione è probabilmente per la maggior parte di noi estranea e assolutamente non indispensabile. Per il “nonno” invece quella è il suo divano. Invece di imbambolarsi davanti alla televisione imbottito di psicofarmaci come gran parte degli anziani “nostrani” sceglie di vivere la città sulla sua panchina alla stazione. Si fa scorrere davanti un suo personalissimo palinsesto fatto da donne impellicciate con le valige, studenti in partenza e, quando capita, una “megarissa” in prima serata. Agli psicofarmaci preferisce birra e sigarette, ma è solo una questione di gusti, ad ognuno il suo.

Altre caratteristiche della panchine: la gratuitità (non generano ricchezza, anzi probabilmente sono un costo), non sono discriminatorie (vi si possono appoggiare i sederi di persone provenienti da ogni estrazione sociale), l’ecosostenibilità (se prodotte con i materiali giusti hanno un bassissimo impatto ecologico), la terapeuticità (permettono di rilassarsi all’aria aperta e di non avere bisogno di medici e psicofarmaci), ma soprattutto, le panchine sono rosse e questo è intollerabile!

 

Questo articolo è apparso su "Liberazione" foglio d’agitazione del G.A. Bonnot

> L’uomo sulla panchina è un fotogramma del corto "Mi chiamo Mauro" visibile fra le "Cartoline da Lugano"!