A Tangeri passiamo solo di sfuggita, arriviamo in treno nel tardo pomeriggio. Troviamo un bellissimo hotel che pare un lussuoso palace in decadenza, con grandi stanze dai soffitti alti e la vernice che si scrosta. Un bagno gigantesco ma senza luce e senz’asse nel bagno. Il grande giardino nel cortile interno che pare abbandonato.
Facciamo un giro rapido nella città vecchia che presto si svuota, tutti vanno a casa a mangiare. È forse il momento migliore per vagare per le strade in salita di questa grande città. Anche quando le strade si rianimano nessuno si preoccupa di noi, è piacevolissimo muoversi indisturbati come se si fosse, almeno per una volta, invisibili. Non vediamo molto ma siamo stanchi, e forse anche un po’ stufi.
Il mattino dopo una lunga attesa al porto, nessuno sembra sapere nulla del traghetto per cui abbiamo comperato i biglietti. L’orario stampato sui tagliandi passa senza che noi riusciamo a capire da dove imbarcarci. Poi finalmente un avviso all’altoparlante, la nave sembra stia partendo, ci precipitiamo al molo 5 ma nessuna nave in vista. Solo tantissime persone che aspettano da ore, poi un puntolino all’orizzonte. La nostra nave che con una lentezza esasperante inghiotte il suo carico umano nel ventre d’acciaio. Si parte, per Algeciras, in Spagna. Il fuso orario ci mangia due ore, arriviamo sulla costa spagnola (a due passi dall’enclave di Gibilterra) che è ormai sera, un altro autobus fino a Malaga.
È stato un viaggio bellissimo e molto intenso, un sacco di persone incontrate, luoghi nuovi, terribili e magnifici. Colori, odori, dolori, cibi e rumori con cui riprendere la vita luganese.