Intervista al regista più alto della Svizzera Italiana: Niccolo Castelli

Intervista pubblicata sul quindicinale satirico “Il Diavolo“.

Non solo regista, ma anche ecologista e un po’ paranoiko (è anche il nome della sua casa di produzione), Niccolo Castelli, classe ’82 è un soggetto socialmente pericoloso. Non potevamo non inserirlo nella serie di interviste dedicate a quanto di nuovo si muove nel panorama del cinema ticinese (si muove qualcosa nel panorama del cinema ticinese? Esiste un panorama del cinema ticinese? Boh!).

Ciao Nic, come’è che sei diventato così alto?
Mia madre dice che è perché mangio tante mele. Secondo me è perché sono ultimo di quattro fratelli e per farmi notare da piccolo son dovuto crescere a dismisura. Oppure è perché avevo quattro anni quando c’è stato Chernobyl e io in quel periodo mangiavo tanta insalata.

Cosa non fa un po’ di Cesio nell’alimentazione di un infante! Raccontati in duecento battute.
Spettinato, alto e un po’ gobbo. Cresciuto fra Porza, Maloja e gli studi di Rete3 (che sono stati la mia seconda casa a partire dai 15 anni). A scuola bigiavo, ma ero furbo abbastanza per non farmi bocciare. Poi laurea a Bologna e master in cinema a Zurigo. Il tutto condito da musica, radio e cinema. Sono più di duecento vero?

Si, sono più di duecento… ma sorvoliamo. Come sei diventato regista?
Lo devo al mio prof. di visiva delle medie, Giorgio Hofmann, che mi ha chiesto di disegnare il mio film preferito (a quel tempo era «L’attimo Fuggente») e mi ha proposto un corso sul mondo della TV con Stefano Ferrari. Contemporaneamente il mio maestro di ginnastica delle medie, il “Grillo” mi ha fatto una copia delle chiavi della sala di montaggio delle medie di Canobbio (erano i tempi del tape-to-tape). E da quella sala non ne sono più uscito.

Regista ok, ma che vuoi fare da grande?
Lo sai che in Islanda se quando ti pongono questa domanda rispondi “il regista”, o anche “il musicista” non ti ridono in faccia?

Gente strana questi islandesi, ma visto che hai appena presentato un cortometraggio ecologista intitolato “Moving Forest”, raccontaci di che parla?
Di natura, di amicizia e di fantasia. Il tutto attraverso gli occhi di un bambino. Nella sua splendida ingenuità di 9enne, lui sa che con l’aiuto di chi è diverso, trovando soluzioni fino a poco prima improbabili, ci si può divertire ed aiutare il nostro pianeta ad uscire dal grigiore della cementificazione. Cavolacci, adesso che ci penso ha più coraggio e lungimiranza lui di tanti politici.

Quella cinematografica è forse una delle industrie meno ecologiche che c’è? Si può fare un film davvero verde?
È assai difficile. In fin dei conti per portare in sala novanta minuti di emozioni ne consumiamo di chilowatt… Una volta stavo male per questo, oggi credo che se i film che facciamo scuotono anche solo un po’ gli animi del pubblico, allora ne vale la pena. Nel caso di Moving Forest, abbiamo cercato di essere più “sostenibili” possibile. Ad esempio, tutte le locations erano a pochi metri di distanza l’una dall’altra, una sorta di film “chilometro zero”.

Come sono andate le riprese? È vero che sei riuscito a far lavorare gratis una troupe intera?
È stato splendido. L’idea era quella di realizzare un film insieme a tutti coloro che qui nella Svizzera italiana hanno grandissime capacità ma poche occasioni di metterle in pratica. Si è creato un bel gruppo, eterogeneo e dinamico, nel quale sono entrati ed usciti professionisti della nostra generazione con idee, spunti e tantissima energia.

Non servono quindi tanti soldi per fare un film, cosa serve?
Qualche soldo ci vuole. Ma se ti fermi a questo ostacolo allora forse è meglio lasciar perdere. Se hai qualche cosa da raccontare, se sai raccogliere l’energia di chi ti sta attorno, allora un film lo si fa. Poi spero sempre che il risultato sia all’altezza degli impegni profusi da tutti coloro che hanno finanziato o lavorato al film. Spero di aver meritato il privilegio di fare questo mestiere.

Il corto lo hai mostrato nelle scuole elementari, come è stato accolto?
Assai bene. È un film principalmente per ragazzi e i bimbi della scuola di Porza sono stati il primo vero pubblico, hanno capito anche molti dettagli del film che pensavo fossero troppo contorti per un cervellino ancora così piccolo. Ma il vino buono sta nella botte piccola, e non è ancora andato in aceto, per cui mantiene la freschezza necessaria per entrare nel mondo dei sogni!

Hai un’opinione sulla politica culturale (in particolare riguardo al cinema) ticinese e svizzera?
Dovremmo aprire un bel capitolone qui. Perché se non fosse per certe istituzioni (Confederazione, Srg Ssr) film non se ne farebbero quasi. La cultura è l’ultimo dei pensieri del 99% dei politici, non si ha un riscontro diretto a breve termine dei benefici della cultura sulla società. Una nuova casa per anziani quando la inauguri vengono a farti un sacco di foto che finiscono sui giornali. Invece il nome nei titoli di coda in un film si perde facilmente. E allora dove investi? Tagliare i fondi alla cultura è facile, perché non ti rendi conto subito degli effetti negativi, ma è un po’ come crescere un figlio senza permettergli di avere idee, di discutere, di capire chi è: non potrà che finire al servizio di qualcuno più furbo di lui.

Che possibilità ci sono per dei giovani registi in Ticino e in Svizzera?
Tante e poche. Se fai una scuola di cinema credendo che ti pioveranno addosso progetti ti sbagli di grosso. Se invece fai una scuola per poter approfittare di tutte le esperienze che questa ti dà, allora ne vale la pena. Io cerco di passare più tempo possibile sui set, in qualità di aiuto, assistente o qualsiasi cosa che mi permetta di imparare meglio questo artigianato chiamato cinema. Ma se non fosse per alcuni splendidi personaggi che lavorano con me non farei assolutamente nulla: da chi lavora in produzione, a chi mi ha ispirato più e più volte proponendomi sguardi diversi sul mondo, e poi ci sono gli operatori, i fonici, i montatori, gli scenografi….

Come vedi il Ticino, con il tuo sguardo da “regista”
Io mi considero ticinese, ma anche un po’ bregagliotto, un po’ svizzero, un po’ europeo, un po’ non lo so più. È sicuramente interessante mostrare il Ticino per il suo aspetto paesaggistico: i ghiacciai, i laghi, le isole, c’è di tutto ed è bello mostrarlo. Ma il Ticino è anche altro, ed al momento mi affascina di più l’aspetto urbano: le micro-culture giovanili, le problematiche reali che affrontano gli adolescenti che vivono a Viganello, Molino Nuovo, Chiasso, Giubiasco e Solduno; il contrasto fra le mamme che portano i figli a Cornaredo con il SUV e i ragazzetti che passano le loro giornate allo skatepark. Ecco, il Ticino è anche questo.

Sei anche musicista? Che suoni?
Visti i miei quasi due metri non potevo che dedicarmi al basso. In verità cantavo nella mia band “MUSh”, ma hanno preferito mettermi nelle retrovie, ed è meglio così… comunque facciamo del sano r’n’r molto british style! Ci trovate su mush.ch

Domanda di rito: se dovessi morire di morte violenta, cosa sceglieresti?
Mi spiacerebbe morire in un incidente stradale, dal momento che non mi piacciono le auto. Forse preferirei morire durante una delle mie più grandi passioni, la montagna. Mentre arrampico in Bregaglia, morirei con un panorama mozzafiato. Seppellitemi pure lassù, grazie. Prima però ricordatevi di mettere a disposizione i miei organi per chi attende un trapianto!

Se rimane qualcosa di espiantabile dopo lo sfracellamento… e che cosa ci sarebbe scritto sulla tua lapide?
Recentemente sono stato al piccolo cimitero vicino a Vevey dove è sepolto Charlie Chaplin. Sulla sua lapide non c’è scritto nulla. Vi sono tanti fiori e qualcuno ha lasciato un pupazzetto di plastica che raffigura un “Pippo equilibrista”. Ecco, vorrei una cosina divertente di questo tipo. E magari una foto di Hitchkock, per spaventare i cani che vogliono venire a fare i loro bisognini su di me.

Che cosa ti fa paura?
Spesso ho paura di essere troppo superficiale. Il giudizio, la colpa, sono concetti che mi fanno un po’ paura. Ci casco spesso pure io, ma vorrei applicare più facilmente una sana epoché (la sospensione del giudizio, spiega wikipedia, NdR). Questa è tosta eh? Andiamo a giocare al tröz che dopo questa risposta ho esaurito l’unico neurone che mi era rimasto…

Ok, però metti tu il franchetto per le palline! Lo leggi il Diavolo?
Sono un amante della colazione al bar, dove spesso mi fermo a leggere o a scrivere per ore. E se c’è il Diavolo me lo sparo sicuro!

Le foto che illustrano l’articolo sono di Alessandro De Bon.

La locandina

Moving Forest – il corto
Moving Forest racconta la storia di Martino, un bambino di 9 anni che si chiede se l’alberello che sta nel cortile del suo condominio non sia stufo di rimanere sempre fra le quattro mura di cemento. Grazie ad un carrello della spesa, Martino e l’alberello, partiranno per una magica avventura. Il corto girato a Porza durante la scorsa primavera è prodotto dalla Cinédokké di Savosa. Con Mona Petri (nella parte della mamma di Martino) ci sono i due bambini protagonisti Daniele Rampini e Filippo Zinetti.

Il film sarà proiettato:
– il 3 novembre al Festival tout écran di Ginevra
– il 12 novembre come film d’apertura alla Notte dei Corti al cinema Lux di Massagno
– il 19 novembre a Castellinaria a Bellinzona (il festival internazionale del cinema giovane)

Tutte le info sono su movingforest.ch