Ispirato dal blog “Discount or die, la sublime arte di fare la spesa al discount” è uscita, sull’ultimo numero del quindicinale satirico “Il Diavolo” questo pezzo.
Una cosa che sicuramente manca alle nostre latitudini sono le schifezzaie. Quei furgoni, piazzati ai bordi delle strade, solitamente vicino a stadi, arene estive e luoghi di concerti che vendono panini per tutta la notte. Solitamente sono gestite da clan familiari, tipo nonnamammaefiglia oppure leiluielasorelladilei spesso con un’impostazione matrilineare. Hanno una piastra dove scaldano la carne, solitamente salamelle (un insaccato che a nord di Chiasso verrebbe chiamata luganiga) o fettine impanate. E poi il pane in grandi sacchi di carta e le “aggiunte”. Crauti, pomodori, salse, formaggio, chi più ne ha più ne metta. Con poche abili mosse ti imbastiscono dei panini straunti e meravigliosi. In Ticino mancano. Se dopo le 9’30 di sera hai fame, non ti resta che mangiarti le unghie. O il fegato.
Quello che però mi ha spinto a scrivere questo testo è che finalmente, anche nella distribuzione elvetica, ho trovato un prodotto che, almeno in parte, si avvicina a queste caratteristiche. Non tanto per le modalità e gli orari di distribuzione, per questo siamo ahimè ancora indietro anni luce rispetto alla vicina penisola, ma quanto meno per il bilancio calorico e nutrizionale del prodotto.
Si tratta del panino pollo-e-maionese del negozio “Picobello” di Lugano. Quello in stazione, che una volta si chiamava Aperto e rimane aperto sette giorni su sette fino alle 22’00 e in cui un chilo di pomodori ti può costare quanto una giornaliera ferroviaria.
È un prodotto insolitamente basso costo per il tipo di negozio in questione (3.50 fr.) e ha delle modalità produttive che più si avvicinano al riciclaggio che alla produzione industriale del cibo.
Dovete infatti sapere, cari lettori che il Picobello vende anche polli arrosto, e quindi che si ritrova quotidianamente con una grande quantità di pollo invenduto. Per questo che i team-leader di Picobello si sono inventati questo panino vendibile a prezzo stracciato. Ogni mattina una lavoratrice precaria di Picobello si sveglia. Prende i polli avanzati del giorno prima e con l’ausilio di guanti in latex li riduce a pezzetti. Tutto il pollo, anche la pelle, il grasso, tranne le ossa, finisce sotto le sapienti mani della trinciapolli. Questa segatura di pollo viene poi mescolata con una quantità molto abbondante di maionese e il composto così formato viene generosamente adagiato in una mezza ciabattina.
Il panino viene poi appoggiato sul bancone. A temperatura ambiente. E li rimane fino a quando qualche sventurato affamato lo afferra, lo compera e se lo mangia. Non riesco a fare a meno, addentandolo, di pensare alle colonie di batteri che in quella matrice di pollo-e-maionese lasciata a temperatura ambiente avranno potuto proliferare. Ma non sono mai stato male, mai davvero male almeno. Il risultato è innegabilmente buono, inquietante ma buono. L’unto trasuda da ogni boccone e solo il cellofan che avvolge il prodotto evita di imbrattarsi la canotta.
Nessuna etichetta, nessuna lista di ingredienti, nessuna tabella con gli elementi nutrizionali, ma si capisce. È un panino fatto in casa. Un panino fatto in casa come lo preparerebbe un adolescente che torna a casa di notte dopo un concerto reggae. Bon Appétit