Signore, signori e gatti, dopo la mia uscita estiva al Film Festival di Locarno, il cinema mi è entrato, come dire, sotto pelo e per la ripartenza autunnale ho scelto di invitare nella mia comoda cuccia un talento nostrano. Un regista che noi tutti conosciamo per i suoi documentari. Il signor Olmo Cerri! Vi dirò, ha un musetto simpatico e, non appena arrivato, mi ha subito detto «ehi gatto diamoci del tu!» Amo tanto la formalità che crea quella giusta distanza tra voi umani e moi le chat, ma Olmo mi ha saputo conquistare.
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Così dandoci amabilmente del tu, sono partito con la mia intervista, chiedendo ad Olmo cosa significa per lui la parola documentario. « Mi piace molto la massima di Patricio Guzman che dice che un paese senza documentari è come una famiglia senza l’album delle foto. Mi sembra un buon modo per descrivere quello che è per me il documentario: un modo per guardarmi attorno e di riflettere sul mondo in cui vivo. Con uno sguardo anche critico, a volte arrabbiato o deluso. Sicuramente disincantato. Mi piace molto raccontare le storie di persone, quando vengono inserite nel loro contesto storico, e riflettere su quanto le scelte politiche vadano ad incidere e possano riflettersi sulla vita quotidiana di noi tutti».
Risposta colta, con citazione! O lalà, questa dimostrazione di finezza intellettuale non può che essere corredata da un amore sfegatato per un animale di altrettanta sottile intelligenza, mi dico. E certo della risposta, chiedo: animale preferito? lui senza neppure pensarci: «l’asino».
L’asino? Asino io che ho domandato! Ma il buon vecchio gatto non lo ama proprio più nessuno? Rien à faire! Andiamo avanti.
Chiedo quali sono i temi che preferisce trattare e Olmo con gentilezza e pazienza risponde «Mi piacciono molto i temi storici, soprattutto quando permettono di raccontare le piccole storie delle persone in maniera poetica e politica. Ho per esempio raccontato in Volo in ombra la storia di André Ruchat giovanissimo pilota morto nel 1960 in uno strano incidente di volo sulla pista dell’aerodromo militare di Meiringen. Aveva 24 anni e ha lasciato la giovane moglie e la figlia Anna, appena nata. E una scia infinita di domande. Domande che sono cresciute con Anna e che l’hanno portata a intraprendere, tramite la scrittura di un libro, una ricerca esistenziale per svelare una verità complessa, nascosta tra sogni di gioventù, segreti famigliari e ragioni di stato. Mi piacciono molto anche le storie di persone che fanno delle scelte radicali: volare, buttarsi con il paracadute, cambiare vita, drogarsi, emigrare, intraprendere la lotta armata, andare a vivere in montagna. L’elenco potrebbe essere ancora lungo».
Incuriosito più che mai e sapendo che ha in caldo una novità, proseguo chiedendogli del suo nuovo progetto « Sto montando un documentario che mi ha impegnato negli ultimi tre anni. Si intitola Non ho l’età e racconta la storia di Carmela, don Gregorio, Gabriella e Lorella. Quattro persone che non si conoscono ma hanno molto in comune. A metà degli anni Sessanta, al culmine della grande ondata migratoria, sono arrivati in Svizzera, dove hanno passato un periodo più o meno lungo. E qui, hanno vissuto gli anni difficili di Schwarzenbach ascoltando la giovanissima Gigliola Cinquetti, diventata celebre dopo la vittoria del Festival di Sanremo 1964 con Non ho l’età (per amarti). Il documentario parte proprio dalle lettere che i nostri quattro protagonisti hanno scritto alla cantante veronese. Dovrebbe essere finito entro la fine dell’anno. Se avete voglia di conoscere i vari progetti che sto portando avanti potete dare un’occhiata al mio sito».
Si si, Omo Cerri è un bell’esempio di talento ticinese. Ma ce ne saranno altri in giro? E mentre mi sorge il dubbio penso che forse lo posso chiedere a lui «Il Ticino è ben rappresentato a livello di cinema in Svizzera? Cosa manca e cosa può essere migliorato secondo te?» «Faccio fatica a rispondere a delle domande sulla politica cinematografica elvetica. In Ticino si fanno dei film a volte interessanti, a volte no. Ma è una risposta lapalissiana che non serve a nulla. A volte si fanno dei film che poi nessuno va a vedere. Costerebbe meno mandare noi registi, casa per casa, a raccontare qualcosa alle persone interessate. Sarebbe bello avere più risorse economiche, più finanziamenti, ma anche più idee brillanti e migliori capacità tecniche e narrative. Sarebbe bello riuscire a distribuire meglio i film girati».
Ancora fermo sulla parola lapalissiana, butto un’occhio alla scaletta delle domande che da vero professionista mi ero preparato. «Quando stai dietro la macchina da presa, come si trasforma il mondo?»
«Sto raramente dietro la macchina da presa, lavoro spesso e volentieri con Giacomo Jaeggli, direttore della fotografia, collega e amico che sta alla camera molto meglio di quanto potrei fare io. Filmando cerchiamo proprio di evitare di trasformare il mondo e di distorcerlo attraverso le inquadrature. Vogliamo piuttosto riuscire a cogliere delle porzioni di territorio che ne raccontino l’essenza. Cercare di vedere oltre agli schemi abituali e mettere in risalto quegli aspetti che permettono una lettura più approfondita della realtà. Cercare di portare il nostro sguardo sulla realtà».
Il gatto è confuso, allora Giacomo sta dietro e Olmo dove sta? Di fianco, forse. Ma a destra o a sinistra, mi domando tra me e me. Oppure dietro dietro, ovvero dietro Giacomo che sta dietro la camera… e mentre son li immerso in questo difficilissimo rebus Olmo richiama la mia attenzione domandandomi se ho mica qualcosina da sgranocchiare…
Ahhhh si! Ecco un argomento sul quale è impossibile confondersi il cibo! «Pietanza preferita?» «Mi piacciono moltissimo le melanzane, la zucca e i ceci. La carne alla griglia e il Birchermüesli di cui sono un consumatore attivo». Ecco. Lo sapevo. Son scivolato nel suo tranello e ora sto irrimediabilmente facendo le fusa a più non posso. Sì, signori. Il Birchermüesli per il sottoscritto e come una droga!
La bavina di gradimento mi impasta la bocca e allora per darmi il tempo di riprendere il controllo di me stesso butto là un’altra domanda al volo «Colore preferito?» «Rosso. Come la bandiera».
In sottofondo sento anche l’inno! Ma il contegno è d’obbligo. Proseguo cercando di riportare a casa almeno un punto. «Regia e animali…. La sfida dei gatti attori… di cani ce ne sono a iosa… ma lei ha mai lavorato con una cat-star?» «Non ho mai lavorato con un gatto. Però mi è venuta in mente un’analogia: per avvicinare le persone che potrebbero diventare protagonisti di un documentario occorre lo stesso atteggiamento usato per avvicinarsi ad un gatto. Gentilezza, onestà e chiarezza e condivisione degli obiettivi. Bisogna anche sapere stare fermi, in silenzio e riuscire a muoversi senza far rumore. Altrimenti il gatto scappa».
Bene e con questa mi ha steso! La classe è Cerri. Voglio assolutamente vivere sul suo divano e cibarmi al suo frigorifero! Ci provo spudoratamente. «… mai pensato di adottare un gatto? … un gatto parlante credo possa essere anche un ottimo soggetto per un film… cosa ne pensi?»
«Da poco più di un anno sono andato a vivere in una casa al piano terreno, che sul retro ha un grande spazio verde che confina con il bosco. Sarebbe perfetta per un gatto. Ho visto su internet che potrei far installare sulla porta del balcone una di quelle porticine per farlo entrare. Non costa nemmeno tanto. Il problema è che poi quando non ci sono, e spesso non sono a casa, come si fa? Avrei bisogno di un gatto piuttosto autonomo che sappia aprirsi da solo le scatolette. Gatti parlanti? Anche no! Comunque sul tema cinema e gatti avevo scritto, nel 2011»
Ci ero quasi! Ma Olmo, giuro… je peux aussi me taire!