Le panchine erano rosse, è risaputo, "dalle panchine potrebbe partire una rivoluzione, quindi assieme a tutti gli spazi di socialità vengono eliminate." Oggi sono di cemento armato, e ad angolo retto, ma la carica rivoluzionaria intrinseca in questo genere di arredamento urbano è rimasta immutata, così come il timore e l’impegno delle autorità per circoscrivere questo dilagante fenomeno.
E quando queste non possono essere eliminate, magari perché parte integrante della struttura di cemento armato, come è il caso delle panchine attorno all’aula magna dell’Università di Lugano, bisogna trovare altre soluzioni. In questo caso si è pensato bene di impedirne l’accesso posando delle catene di plastica.
Il problema è che queste panchine, pur essendo scomode e fredde, venivano comunque utilizzate dalla popolazione. La parte di popolazione che da fastidio, quella che potrebbe traviare i bravi e ricchi studentelli sbarbati della facoltà luganese. Queste panchine erano usate da chi era diffidato dal bar trendy dall’altra parte della strada, da giovani migranti che non sanno come passare la giornata, da cannaioli, piccoli spacciatori. Come si risolvono tutti questi problemi? Con delle catene di plastica.
Eppure l’idea era già rintracciabile nella presentazione ufficiale dello stabile, difatti vi si poteva leggere: "a livello del parco la copertura della sala, pavimentata, diventa un luogo d’incontro, circondato da alberi e ancora "l’aula polivalente costituisce l’elemento pubblico dell’Università verso la Città ed è il luogo d’incontro degli studenti all’interno del Campus." Mah, nel frattempo avranno cambiato idea!
E chissà cosa ne pensano gli architetti Tognola, che hanno ideato la struttura, di calcestruzzo armato a vista, travi portanti esterne, vetrocemento, spazi modulabili e strippi architettonici vari. Gli garbano le catene rossoebianche di plastica?
L’università è situata in Via Giuseppe Buffi, ho un vago ricordo di un corteo per la scuola, io ero piccolo non saprei dire quali erano le motivazioni della portesta, ma i miei genitori, docenti, hanno pensato bene di portarmici.
Lo slogan era "Buffi, babbeo, beccati questo corteo". Mi ricordo di centinaia di persone in strada, forse a Locarno, che scandivano "B-uffi, b-abbeo". La forza, la rabbia e l’ironia di questo corteo. Ora che è morto non sta bene ricordare queste cose.