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Una raccolta di cose che ho scritto ma che non dovete sentirvi obbligati a leggere

Lettere ad una professoressa (di ginnastica)

Pubblico qui una lettera che ho scritto (anni fa) alla docente di ginnastica. Premetto che ho sempre avuto un rapporto molto difficile con l’ora di educazione fisica e con lo sport in generale.

Cara professoressa,
ancora una volta rubo un’ora al sonno per cercare di comunicare le mie perplessità riguardo alla lezione di “educazione fisica”. Non mi illudo più di vedere cambiare qualcosa, sono anni che fa il suo lavoro in questo modo e nessuno ha mai detto niente, non sarà certo questa lettera a bloccare l’ingranaggio perfettamente oliato.
L’anno prossimo, se tutto andrà bene, al posto mio e della mia classe ci sarà un branco di soldatini disciplinati, pronti a fare la capriola avanti ed indietro al suo comando, e tutto si risolverà.

Ma veniamo subito al punto: nella penultima lezione, avevo gentilmente esplicitato i miei dubbi sulla pericolosità di due sbarre di legno messe ai lati del tappetino su cui avremmo dovuto fare una rotazione. Non mi ero rifiutato di eseguire l’esercizio, ne avevo impedito ad altri di farlo, avevo solo espresso un mio legittimo dubbio. Sentendosi accusata, soressa, aveva affastellato una qualche scusa sul fatto che se non si facessero queste cose saremmo tutti grassi e smidollati.Non mi dilungo sul fatto che l’obesità e l’assenza di morale siano proprio figli di quelle palestre e di quella cultura superficiale e consumistica che lei difende e diffonde durante le ore di ginnastica, preferisco concentrarmi su quello che è accaduto nel nostro ultimo incontro.

Nonostante la quasi assoluta assenza di piacere che contraddistingue la mia partecipazione alle sue lezioni, anche questa volta (non ne ho mancata neppure una), sono arrivato (tra l’altro con un certo anticipo) in palestra, lei mi accoglie con un sorriso beffardo e chiede: -Meno fumato Olmo questa volta?-.

Rimango basito, come si permette di gettare su di me tali accuse? Non ritengo necessario giustificarmi, ma per amor di chiarezza ritengo utile precisare che è molto raro che io fumi prima di andare a scuola, di certo poi non di primo mattino (la lezione incriminata ha avuto inizio alle 8’20). Mai comunque prima di ginnastica, è già abbastanza pesante in momenti di lucidità, alterato non riuscirei proprio a sopportarla. Inoltre il fatto che io fumi o meno, non mi impedisce affatto di pensare in modo razionale, ragionare ed esprimere le mie perplessità (che, almeno in questo caso, sono oggettivamente giustificate!).

Che poi lei associ il fatto di ragionare a quello di fumare, mi preoccupa assai, allora lei che rinuncia a fumare rinuncia anche a pensare. Se fosse così, la prego si faccia una canna e non ne parliamo più, per l’amor del cielo!

Rimane poi il fatto delle scelte individuali, quando lei mi si para davanti alla mattina presto e saltella gaia e ridanciana per due ore, io non le chiedo se ha già bevuto due caffè o se si è appena iniettata una dose di quelle sostanze molto in voga fra voi sportivi. Se sono proprio molto preoccupato, potrei al limite informarla della pericolosità della caffeina e dei danni che provoca al sistema nervoso, ma non mi permetterei mai e poi mai, di esprimere un giudizio di merito su questo.

Inoltre, cara professoressa, le faccio presente che la stragrande maggioranza di chi fuma partecipa attivamente alle lezioni, non fa obiezioni su nulla, è disposto a lanciare una palla al di là di una rete anche per tre lezioni di fila (proprio come le piace), e soprattutto a lei non passerà neppure per l’anticamera del cervello che costui è un fumatore, anzi probabilmente lo riterrà un ottimo allievo.

Alla prossima!
il suo allievo O.

Il fattore meccanico

[Sonvico, 2002] 


Geremia era un uomo di poche parole, lavorava molto e mangiava poco.
Amava la vita agreste e le levataccie che doveva fare ogni mattina
ormai non gli pesavano più. Diceva che non voleva altro dalla vita,
aveva tutto quello che poteva desiderare. E come si poteva dargli
torto? Lavorava si molto, ma era circondato da una moglie premurosa e
viveva nel paesaggio più bello di tutta la zona, in una fattoria
modello così ben organizzata da essere sempre presa ad esempio. Erano
quattro anni di seguito che una delle sue mucche vinceva il concorso di
bellezza alla fiera del villaggio. Il suo unico cruccio erano i figli,
la sorte aveva voluta che non ne fossero giunti, ma non per questo si
riempiva la vita d'amarezza.
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Disposizioni in caso di nevicata

Il municipio di Salinzucca decreta che in caso di nevicata:

1) Ogni cittadino di Salinzucca si asterrà dall'utilizzare la propria
autovettura per evitare di ridurre tutta la neve che sarà caduta sulle
strade in poltiglia limacciosa. Se proprio avrà una cosa indispensabile
da fare la rimanderà comunque a domani. Si ordina inoltre ad ogni
cittadino di Salinzucca di non ammalarsi o ferirsi gravemente durante
le nevicate per evitare di dover chiamare l'autoambulanza.

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Novembre

[Lugano. novembre 2001]

È già buio, siamo in novembre. Vedo il mio autobus fermo nello spazio a
lui riservato dalle due linee gialle. Partirà solo fra qualche minuto,
ma già salgo per godere almeno un po' del tiepido microclima
artificiale nel suo interno.
Il conducente mi controlla annoiato l'abbonamento. Non c'è nessuno,
quindi mi siedo in fondo, in uno di quei cinque posti collegati sempre
ambiti durante le gite scolastiche.
Mi tolgo il cappello umido e l'appoggio sul sedile. Arriva un altro
autobus, vuoto.
Si ferma a pochi centimetri dal finestrino posteriore, riesco a vedere
distintamente al suo interno. L'autista, stanco per un troppo lungo
turno di lavoro, osserva ipnotizzato le auto che scorrono annoiate al
suo fianco.
Sale un uomo con il cappello (probabilmente ha freddo), il conducente
gli controlla il titolo di trasporto ma, senza troppo interesse.
L'uomo col cappello si siede nei sedili in fondo (sempre ambiti durante
le gite scolastiche). Toglie il cappello, forse perché umido e lo
appoggia sul sedile.
È ancora più buio, siamo in novembre!

Tre storie del P.

[Sonvico, 2001]

1
– Sai… – mi dice socchiudendo gli occhi ed accendendosi l'ennesimo
joint della giornata – io non sono un repper come tutti gli altri, gli
altri reppers fanno delle cose attorno al vestito. Io no, niente. C'è
chi fa i graffiti, che brekka, chi c'ha su' 'na posse e fa un po' di
free-style con i suoi fratelli. Chi va in giro a teggare o in skeit, io
no! Io non so fare i graffiti, non brekko, e di far su 'na posse mi fa
schifo solamente l'idea… Io c'ho solo i vestiti e le scarpe e gli
occhiali da repper, ma in verità dentro nulla! Anche la musica
sinceramente non mi garba.- poi passandomi il joint fumante – shiva, o,
io adesso skippo, vado un po' a sciallarmi, ma ci ribekkiamo una di
queste sere…-.

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