Sono partito da casa senza una meta precisa, sapevo che avevo voglia di camminare, sudare e fare un po’ di fatica. Sentire il mio corpo vivo dopo il letargo invernale. La montagna mi mette addosso un nonsoché di mistico, mi sento in comunione con la terra e con il cosmo.
Penso che se dio esistesse gli alberi potrebbero essere prova inconfutabile della sua presenza. Immerso nei miei pensieri trascendentali supero l’alpe Cottino e arrivo al San Lucio. Silenzio e la vista può spaziare tutto attorno a me. Arriva un rumoroso elicottero a rovinare tutto. Scendono cinque persone che gridando a squarciagola si lamentano di aver trovato la capanna ancora chiusa. Asini!
Continuo la mia passeggiata verso l’alpe del Pairolo. Sul mezzacosta del Foiorina c’è ancora parecchia neve, io stolto sono in sandali che affondano fino al polpaccio. Canticchio i CSI "L’importanza del vestire, in maniera adeguata e conveniente", e mi tornano in mente tutta una serie di poesie mantriche scritte durante alcune estati giorvaghe in montagna con Gioele, Michea e Luca (1 – 2). Sono canti che ben si adattano al ritmo della respirazione mentre si cammina. I miei piedi nella neve sono caldi come il fuoco.
Fra il San Lucio e il Pairolo, dalla gallery di xotel
Arrivo al Pairolo, resto in alto, non scendo alla capanna. Non ho voglia di incontrare nessuno. Bevo dalla fontana fallica. L’acqua fresca esce dall’orifizio del grande glande ligneo. Perdo quota fino a Rosone, poi Madonna d’Arla, Pian Piret, Rovrash, chiesetta di San Martino e a casa.