Volontariato: la buona coscienza della cattiva società

Per inaugurare la sezione sul lavoro sociale inserisco questo testo a proposito del "volontariato obbligatorio" proposto agli studenti SUPSI del DLS a partire da quest'anno…

Perchè servono i volontari e come se ne potrebbe fare a meno
Il fallimento nella nostra società, non è più legato alle fasce più povere della popolazione o a coloro che, per sfortuna o per incapacità, non sono più in grado di provvedere a loro stessi. Il fallimento è diventato parte integrante, strutturalmente insita, nel mercato, e si è completamente slegato dalle qualità (oggettive o soggettive) di chi ci si trova confrontato. È sempre meno relazionabile a questione di bravura, capacità o abilità, ma sempre di più alla probabilità. “Un mercato in cui il vincitore prede tutto si presenta come una struttura competitiva che predispone al fallimento un gran numero di persone capaci[1]”.

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Appostamenti sfortunati…

Martedì 31 ottobre 2006, luna crescente, notte magica, le anime dei morti tornano sulla terra. Fuori dal CSOA il Molino c’è un fermento particolare. Gruppi di persone, armati di scale, ponteggi, pennelli e bombolette stanno colorando le pareti esterne (scrostate e pasticciate) dell’ex macello.

Non sono ancora le 21’00 quando Schnelmann e Castelli (stabili erariali e tenente della polizia comunale) con la simpatia che di default utilizzano nei rapporti con i molinari, si avvicinano alla struttura e avvertono che è necessario fermare i lavori. Gli stabili, sono di proprietà del comune e noi non abbiamo l’autorizzazione. Ci intimano ufficialmente di smetterla. Le pareti sono già state imbiancate e le bozze sono già state trasferite sulle pareti, sarebbe assurdo lasciare il lavoro a metà.

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Storia di una vita M-budget

Finché era piccolo non si era accorto di essere un bambino M-budget, gli sembrava di essere normale, come tutti gli altri. È vero, essendo il secondogenito doveva mettere gli abiti smessi di suo fratello più grande, ma non gli era mai pesato più di quel tanto. Era stato svezzato a prodotti M-budget, abitando vicino alla Migros di quartiere per la sua mamma era comodo far la spesa li, gli opuscoli spiegavano che la qualità era la medesima, si risparmiava sulle confezioni, niente di preoccupante: Beveva Mb-latte con Mb-cereali, a ricreazione Mb-mele, poi un Mb-pranzo e per desser un Mb-yogurt, come tutti i bambini svizzeri amava il succo di mele (solo che il suo era Mb), si lavava con Mb-sapone e aveva una Mb-cartella verde e bianca. Quel Mb-gusto gli era diventato così famigliare e abituale che non riusciva a starne senza. L’unica cosa che un po’ lo rattristava era quello di non mangiare mai la cioccolata con le nocciole intere di cui era golosissimo, doveva accontentarsi della Mb-cioccolata con frammenti di nocciola. La mamma gli ricordava di pensare ai bambini che morivano di fame, lui in fondo era fortunato ad avere la Mb-cioccolata, e quindi cercava di non pensarci troppo.

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Il fascismo ipnotizzo l’italia usando una sfera di cuoio

Italiani popolo di tifosi, il calcio sport nazionale per antonomasia.

Il rapporto privilegiato del Bel Paese con il pallone si consolida nel corso del Ventennio fascista. E' noto che a partire da quel periodo, e via via in modo piu' sistematico, il fascismo attiro' a se' specifici settori della cultura e dell'intrattenimento quali strumenti per costruire il volto nuovo della nazione e dell'identita' italiane. Anche il calcio non si sottrasse a questa strategia e, come la scienza, la letteratura, la musica, l'architettura, opportunamente manipolato, entrò a far parte di quel meccanismo attraverso cui il regime tento' di assicurarsi il consenso delle masse.

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Le panchine sono rosse

Gliel’hanno portata via: non deve essere stato difficile, due operai ed è fatta. Sicuramente lui non ha fatto resistenza, non perchè non fosse importante, ma forse non ne ha avuto la forza. Ancora più probabilmente non era presente, visto il freddo pungente che faceva in quei giorni.

Hanno fatto sparire un’altra panchina, l’ennesima. Per la precisione quella davanti al negozio "aperto" alla stazione di Lugano. Panchina su cui lui, passava gran parte delle giornate non troppo fredde. Lui: Serge, "il nonno" della stazione, "il vecchietto" magro magro, senza denti che parla uno strano miscuglio di lingue confederate. Lo trovavi li seduto alla mattina, quando prendevi il treno alla mattina e alla sera, quando tornavi, era ancora li. D’estate vi rimaneva fino a notte, o almeno fino alla chiusura del negozio. Se avevi tempo, magari da perdere aspettando il treno, potevi fermarti un attimo a parlare con lui, ti avrebbe narrato, forse ricordando, magari un po’ inventando, qualche confuso episodio avventuroso della sua vita. Offriva e cercava compagnia certo, ma dispensava anche tutta una serie di servizi agli avventori della stazione: potevi lasciargli lo zaino o il cane in custodia mentre compravi qualcosa, oppure sapeva dirti se valesse la pena di andare al tassino perchè c’era movimento oppure se ancora, invece, non era salito nessuno. Continua la lettura di Le panchine sono rosse

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