Ho incrociato ieri, per strada, una locandina della parrocchia di Campione d’Italia, che proponeva per passare il pomeriggio dell’epifania il "bacio al gesù bambino". Questa proposta mi ha ricordato un testo, scritto per la scuola due anni fa, a proposito di Don Milani. Ne ripropongo qui uno stralcio con qualche piccola correzione. In fondo alla pagina riporto anche la parte introduttiva e quella conclusiva.
Avevo sempre avuto, l’immagine dei preti come personaggi di cui non fidarsi troppo, che mi guardavano con diffidenza per il fatto che a scuola non frequentavo le lezioni di educazione religiosa e che non ero battezzato. Ricordo che il vecchio prete di Sonvico (il paese in cui sono cresciuto) una volta mi sequestrò la bicicletta, perché entrai nel sagrato senza scendere dalla sella, questa cosa era considerata una grava mancanza, quasi una blasfemia. È dovuto intervenire mio papà per farmi riconsegnare la bici.
Ricordo anche che, per l’epifania, mia nonna mi portava in chiesa. Alla fine della funzione arrivavano tre signore del paese, goffamente travestite da Re Magi e distribuivano dei regalini (erano appunto questi regalini ad interessarmi). Ad un certo punto della messa tutti si alzavano e andavano a baciare una statuina del gesù bambino: io provavo un po’ di ribrezzo. I miei genitori mi avevano insegnato che attraverso la saliva si trasmettevano le malattie, e che per esempio quando si beveva dalle fontane non si doveva appoggiare le labbra sul cannello da cui esce l’acqua (lo spauracchio, raramente citato ma ben presente nel nostro immaginario, era quello che dei "drogati" avessero bevuto dalla stessa fontana prima di noi, infettandola in qualche modo).
Per questo mi sembrava una pratica antigenica quella di baciare tutti la stessa statuina, e quindi facevo solo finta. E se la persona che baciava il gesù bambino davanti a me fosse stata drogata? Nonostante le mille attenzioni sospettavo che il prete (o la nonna) si accorgesse che non appoggiavo davvero le labbra sulla statuina e che per questo ce l’avesse a male con me e che mi considerasse un usurpatore di dolcetti che sarebbero dovuti finire nelle pance di bambini battezzati e non in quelle di senzadio come me.
Anni più tardi ne ho parlato con mia sorella, anche lei si era fatta allettare dai dolcetti distribuiti dal clero e si era fatta convincere per un periodo (con grande gioia della nonna) a frequentare almeno la messa dell’epifania. Condivide con me il ribrezzo per questa pratica antigienica, in particolare mi ha fatto notare che il particolare che più la disgustava era il tovagliolo che il prete utilizzava dopo ogni bacio per asciugare la saliva depositata sulla statuina che, a ben vedere, non faceva altro che spalmare uniformemente la bauscia sul sacro idolo.
Introduzione:
La prima volta che ho sentito parlare di questo personaggio, è stato alla televisione, grazie al film per la televisione prodotto dalla Rai “Don Milani, priore di Barbiana”, diretto dai fratelli Frazzi e messo in onda nel 1997. Io avevo 13 anni, e sono rimasto molto colpito dalle vicende narrate, in particolare dalle ingiustizie subite dai giovani contadini, e dall’impegno messo da Don Milani nel combatterle.
Conclusione:
Nonostante tutto, Don Milani mi piaceva, e mi piacque ancor di più quando il giorno dopo mio padre mi prestò un’edizione originale di “Lettere ad una professoressa”, ero entusiasta di questo pretino che, contro tutto e tutti, cercava di fare il bene per i propri scolari. Cercava di impartirgli gli strumenti indispensabili per cavarsela nel mondo esterno, per conoscere e far rispettare i propri diritti. Metteva in evidenza le disuguaglianze sociali e di classe che erano (e probabilmente lo saranno ancora) all’ordine del giorno, nella vita scolastica di ogni studente. Criticava l’inutilità di alcune materie e metteva l’accento sull’importanza di informarsi, di leggere e capire i quotidiani, di saper scrivere una lettera per poter controbattere, difendersi o far conoscere le proprie idee. Mi trovavo alle scuole medie e non facevo fatica a ricollegare (magari un po’ pretestuosamente) le ingiustizie che venivano narrate, con quelle che effettivamente sentivo di vivere a scuola.
L’anno seguente, è poi uscito un cd-rom sugli anni ‘60, conteneva una serie di documenti multimediali su quegli anni. È stato probabilmente il primo cd-rom che è entrato in casa nostra, curioso delle potenzialità di questa piccola rivoluzione tecnologica vi ho navigato a lungo, trovando diverse informazioni riguardo alla vita e alle idee di Don Milani. Mi piaceva l’idea di leggere il giornale in classe, di riuscire a capirlo e poterlo commentare. Quando guardavo io i giornali (e i telegiornali) erano molti gli aspetti che non mi erano chiari. I miei genitori con pazienza mi hanno spiegato molte cose, ma mi sarebbe piaciuto che lo si facesse anche a scuola, in modo da poterne poi discutere con i compagni.
Qualche tempo dopo ho poi comprato, nel periodo in cui la “Libreria al sole” di Lugano stava chiudendo e liquidava tutto, un altro libro su di lui. Oltre a vari commenti conteneva la trascrizione di diversi testi (lettere, progetti, bozze) mi ha particolarmente colpito il progetto di “giornale scuola” e di “scuola popolare” a cui mi sarebbe piaciuto partecipare. Concludo con la citazione “l’operaio conosce 300 parole, il padrone 1000, per questo lui è il padrone” che ben sintetizza il suo pensiero.
> Qui alcuni riferimenti alle vesti liturgiche in uso a Sonvico fra l’XV e l’XIX secolo
> Sonvico sulla Wikipedia
E quella volta che sei uscita dalla vasca da bagno perché qualcuno aveva inavvertitamente consacrato l’acqua? 🙂
Tra l’altro era lo stesso giorno in cui sono stata benetta a mia insaputa e mi sono messa a gridare perché pensavano che mi stessero per battezzare, altrimenti avrei fatto un po’ meno la schizzinosa e baciato Gesù Bambino. Dimenticandomi forse delle tue osservazioni sulla bauscia fresca e quella vecchia, depositata dai baci delle generazioni precedenti.