Chi non è stato dietro ad un banco di scuola negli ultimi dieci anni, probabilmente non conosce il fenomeno Powerpoint (pronuncia “pauerpoint”, ovvero presa di corrente). Abituati a lezioni svolte davanti alle nere lavagne in ardesia, nemmeno si immaginano l'evoluzione informatica che ha travolto la scuola negli ultimi anni. Gli alfabetizzati informatici mi scuseranno se spendo qualche righa per spiegare di che cosa si tratta: Powerpoint è un programma della Microsoft che permette di creare delle diapositive dinamiche in movimento (dette “slide”, pronuncia “slaid”). In queste diapositive è possibile inserire testi, immagini e filmati che possono servire ad illustrare o a marcare i contenuti salienti delle lezioni. Tutto ciò viene proiettato da un sofisticato proiettore chiamato beamer (si legge “bimer”) fissato al soffitto (spesso munito di lucchetto per evitare i furti, dato il valore consistente di questo aggeggio elettronico) e collegato al computer. Nelle moderne aule è probabilmente più alto il valore di uno di questi proiettori che di tutto il resto dell'arredo della stanza. Una lezione in Powerpoint è un ibrido fra un comune diaporama (quello con i negativi montati sul telaietto inseriti in un carrello) e un retroproiettore (archeologia didattica utilizzata ormai soltanto dai docenti più tradizionalisti), che proietta i “lucidi”, fogli di plastica trasparente su cui sono stampati o fotocopiati i contenuti più diversi. Coniuga gli aspetti migliori di queste due tecnologie, con in più la flessibilità e la multimedialità a cui i computer e il web ci hanno abituati. Come qualsiasi altra novità tecnica non rappresenta di per sé un bene o un male, è la maniera con cui viene utilizzato che dovrebbe essere soggetto di analisi e riflessione. Una tecnologia inizialmente utilizzata soprattutto nelle aziende per esporre grafici e contenuti nelle riunioni ad alto livello, viene trasferita alla scuola, con le conseguenze che inevitabilmente ne derivano. Continua la lettura di Come il Power Point sta rovinando la scuola
Programma CSOA il Molino: gennaio – marzo 007
Ho appena mandato in tipografia i due volantini per il CSOA il Molino per gennaio-marzo 007. Le due belle immagini vengono da qui…
Sono abbastanza contento di questi volantini che mi paiono abbastanza riusciti.
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Due parole sui miei vestiti
I vestiti che indossiamo creano immaginari, gli immaginari prodotti dai vestiti che indosso io, sono radicalmente diversi rispetto a quelli proposti dalla pubblicità del Vögele prima della Meteo alla televisione. In pochi secondi di immagine patinate e melodie che vanno ad agire direttamente sull'inconscio, i pubblicitari della linea di moda di massa riescono a legare l'idea di “famiglia”, “realizzazione”, “serenità” con il loro marchio aziendale. Scenette insulse e allo stesso tempo cariche di una straordinaria potenza persuasiva ci indirizzano verso il gorgo dell'acquisto compulsivo e dell'uso non oculato delle nostre risorse.
Le mie calze preferite sono di lana, le ha sferruzzate la mia nonna, sono calde, comode e confortevoli. Permettono al piede di respirare e non è necessario cambiarle tutti i giorni, d'inverno se indossate con una ciabatta o con dei sandali (riuscendo ad infischiarsene dell'effetto “switzerdutch” che comportano) forniscono un perfetto isolamento termico, senza per questo costringere i piedi in situazioni innaturali e poco gradevoli di compressione e occultamento. Sono così contento delle mie calze che ho rinunciato del tutto ai calzini di cotone elasticizzato bianco, con le strisce rosse e nere sulla caviglia, che usavo prima.
Il diritto di essere contro!
Qualche anticipazione dall'elaborato di Laboratorio SUPSI di quest'anno…
Mi sento spesso dire che non occorre schierarsi “contro” alle cose, sarebbe molto meglio essere “per"[2]. Questa sciropposa critica, viene rivolta, spesso e volentieri da più parti, ma mi pare bisognosa quantomeno di qualche precisazione.
Questo modo di pensare fa parte dell’insopportabile buonismo di un certo tipo di sinistra (a cui appartengono anche tutta una serie di operatori sociali, ma non solo) che ha come massimo riferimento culturale ed espressione di ribellione l’agenda di Smemoranda e l’ascolto di Jovanotti[3] (due prodotti culturali piacevolissimi ma non certo sufficienti ad una visione lucida dei problemi sociali). Sono sicuro che ci siano momenti storici in cui è necessario “essere contro” perché la situazione sociopolitica è tale che prima di poter costruire qualcosa di nuovo occorre spazzare via il vecchio che avanza, che occupa spazio, ruba tempo e spreca energie.
L’inevitabile misantropia quotidiana
Scivolo nella tarda serata di un giovedì qualsiasi di un flaccido agosto, tassi di ozono e di polveri fini alle stelle. La radio invita chi è rimasto in città a non uscire di casa nelle ore più calde. Il turco che vende kebab all'angolo dell'università è impegnato in un'animata discussione con un ragazzo biondo forse un po' ubriaco, convinto che a Rimini la gente sia molto più aperta e cordiale. L'attenta analisi sociologia del biondo, è stata ispirata dall'essersi riuscito a slinguare una villeggiante nordica lo scorso agosto sulla riviera romagnola. Il turco, che si sente già abbastanza integrato da sentirsi in dovere di difendere l'onore patrio, risponde con salomonica saggezza che, secondo lui, di stronzi ce ne sono da tutte le parti. Anche perché non ho una precisa opinione sull'argomento evito di entrare in discussione e chiedo un falaffel, cercando di scandire bene le parole, nonostante l'incertezza della sillaba su cui far cadere l'accento. Quello all'angolo dell'università è l'unico chiosco che non aderisce al cartello dei kebabbari che si sono accordati per tenere i prezzi alle stelle e spartirsi i profitti generati dalla fame chimica notturna. Prende cinque dischetti di pasta di ceci dal congelatore a cassapanca dietro al bancone. Il biondo non smette di parlare e di sparare scontatezze accennando alla sua più unica che rara avventura erotica estiva. Continua la lettura di L’inevitabile misantropia quotidiana