Il fiume

Foto di Enrico Boggia

Da: Voce Libertaria / no 16 – marzo 2011

È difficile decretare con precisione dove nasca il fiume Cassarate, se lo si risale con pazienza ci si può perdere fra le sue parecchie ramificazioni. Sicuramente la sua sorgente è in un punto imprecisato alle pendici del Gazzirola, in zona san Lucio, monti su i cui sentieri decine di contrabbandieri hanno trasportato le bricolle, trasfugando riso, sale, sigarette e più recentemente marijuana da una parte all’altra di un arbitrario confine.

Zampillando fra un sasso e l’altro il fiume ha creato la Val Colla, e bagna paesi con nomi che arrivano dritti da epoche remote: Colla, Scareglia, Signora. Scende ancora, il fiume, arriva a Sonvico, e qui ha già raccolto abbastanza acqua da creare alcune belle pozze. È difficile accedervi, bisogna un po’ arrampicare e un po’ procedere con i polpacci in acqua. Ma quando ci si arriva si ha la sensazione di essere in un luogo fuori dal mondo, dove bagnarsi nudi, dove godersi i pochi raggi di sole che riescono a solcare il denso soffitto di foglie. Luoghi dove suonare il dijeridou, improvvisarsi cantori gregoriani, mettere in equilibrio i sassi uno sull’altro lasciandosi andare a derive mistiche impensabili altrove. Sotto il ponte di spada nel Cassarate si getta il Capriasca, la cui acqua è percettibilmente più tiepida. Qui cresce la felce dolce, la sua radice ha il gusto della liquirizia.

Più sotto incontra il torrente Frascinone che scende dal Pairolo e scorre sotto il ponte di Dino da cui si è buttato il nonno di S. quando non ce l’ha più fatta a vivere così. Sotto il ponte di Dino ho visto anche per la prima volta G. fare un disegno con le bombolette spray. Quando cresci a Sonvico per praticare la street-art ti devi un po’ arrangiare. Ancora più in basso il fiume scorre vicino al carcere della Stampa. Poi scorre in una brutta zona di periferia senza centro, dove accoglie nel suo letto cadaveri di automobili e e tubi di plastica arancioni. Scorre fra spazi dove stoccare rifiuti e spazi dove stoccare migranti e poi si arriva al Maglio, dove il centro sociale è stato per parecchio tempo nella sue epoca immediatamente successiva ai leggendari Molini Bernasconi. Per arrivarci bisogna superare un ponticello. Quando ci giungevi a piedi era il segnale che ormai eri arrivato e la scarpinata finita. Si iniziava a sentire il tuz tuz della musica e il vociare degli ubriachi. E poi giù ancora, il vecchio Jumbo, l’uscita della nuova galleria, il gattile-dormitorio, la ex-termica ora multisala ammazza-cinema, la casa stella e i bambini libanesi che giocano nel parchetto, lo stadio, il cimitero, i ponti, e l’ex macello. Se vivi al macello il Cassarate diventa un punto di riferimento importante. Quando piove diventa grosso e marrone, ogni tanto ci vedi i pesci, il panettiere vi butta dentro i sacchi di pane secco per le anatre e i pochi ippocastani superstiti creano ad agosto delle nicchie di frescura dove andare a leggere.

E poi, superato il kebabbaro che tiene il Mattino della Domenica fra i giornali a disposizione dei clienti, e i gabinetti in acciaio inox con il buco per le siringhe e l’allarme che suona quando qualche sventurato ci collassa dentro, si entra nel parco. Il parco è il regno della monocoltura, vialetti di cemento, aiuole di fiori tutte uguali, erbetta verde a misura standard e poi finalmente il lago.

Il Cassarate si butta nel Ceresio creando con i residui di sabbia che si è trascinato per chilometri una spiaggetta che cambia aspetto ad ogni temporale. Un vecchio cartello vieta di bagnarsi ma da qualche anno centinaia di persone esprimono l’atavico bisogno di contatto con l’acqua in uno dei pochi spazi in cui è possibile farlo anche se non si ha ereditato una villa. La sabbia portata dal fiume è materiale pregiato, non solo perché se asportata diventa redditizio materiale da costruzione, ma perché è qui che si fanno gli incontri più strani. D’estate ci sono i pensionati che prendono il sole con la berretta dell’ovomaltina, l’avvocato che piegate camicia e cravatta e si butta nell’acqua in mutande sfoderano pettorali costruiti in un anno di palestra. C’è la cinquantenne che in un angolo abbronza le sue tettine secche. Ci si porta il cane senza guinzaglio, ci si da appuntamento per farsi le canne e ci si passa per un bagno veloce dopo una giornata persa altrove. Qui ho visto un signore pescare un’anguilla, ho visto un botanico scoprire una specie vegetale mai repertoriata nel sottoceneri, ho visto S. trapiantarci un acero. È qui che ho ricevuto da A. una fotografia della sua madre spirituale indiana preferita e che sono stato lasciato da M. che mi pareva di amare. J. invece una notte mi ha convinto a scavalcare il cancello del parco e poi abbiamo fatto l’amore li sulla spiaggetta.